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Ricerca, Antonio Piras da Sassari alla Svezia a capo di un team AstraZeneca

di Massimo Sechi
Ricerca, Antonio Piras da Sassari alla Svezia a capo di un team AstraZeneca

42 anni, lavora nell’azienda leader in campo farmaceutico Il progetto: «Ci stiamo concentrando sull’innovazione per la cura dell’asma»

18 aprile 2024
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Sassari Da Sassari a Goteborg, direttore associato e a capo di un team di ricerca di una delle aziende farmaceutiche leader al mondo, AstraZeneca. Antonio Piras, 42 anni, è la dimostrazione più chiara di come lo studio, le esperienze professionali e le competenze maturate possano aprire le porte a una carriera di altissimo livello, in un settore delicato e importante come quello della ricerca in campo farmaceutico. Antonio Piras si è laureato nella facoltà di biologia a Sassari e subito dopo ha voluto seguire una delle sue prime passioni, la neuroscienza. Ha lasciato l’isola e dopo varie esperienze di studio e professionali, 6 anni fa è arrivato a Goteborg.

Da Sassari alla Svezia, quale è stato il suo percorso?

«Dopo la laurea a Sassari mi sono trasferito a Torino per la specializzazione e quell’esperienza è stata fondamentale, prima di tutto perché ho potuto proseguire la mia formazione in un istituto dal quale sono venuti fuori tre premi Nobel: Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco e Salvatore Luria. Dopo la specialistica grazie al Master & Back della Regione ho fatto un dottorato di ricerca, sempre a Torino, in medicina molecolare e mi sono occupato delle patologie del midollo spinale, come l’atrofia muscolare spinale e la Sla che in Sardegna purtroppo hanno un’alta incidenza di malati. Poi da Torino sono stato negli Stati Uniti dove ho collaborato con Harvard University, questo tra le altre cose mi ha fatto venire il desiderio di fare un’esperienza all’estero. Ho quindi partecipato ad un progetto della Hoffmann-La Roche che mi ha portato in Svizzera, a Basilea, e a Stoccolma al Karolinska Institutet. Qui mi sono occupato dello studio di un processo fisiologico, l’autofagia legato a patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer. E infine sei anni e mezzo fa sono arrivato a Goteborg e ad AstraZeneca, quasi per caso»

Aveva altri piani?

«Mi ero trasferito da poco nel Sud della Svezia ed ero in attesa di iniziare a lavorare all’Università, avrei dovuto però stare alcuni mesi fermo e quando ho saputo che in AstraZeneca c’era aperta una posizione per un ricercatore ho deciso di provarci, anche se si trattava di un settore diverso dalle neuroscienze».

Di cosa si sarebbe dovuto occupare?

«Si trattava di un posto come ricercatore senior nell’ambito delle malattie dell’apparato respiratorio e di immunologia. Avevo sempre a che fare con l’esame di tessuti istologici e dunque anche se di organi diversi le mie conoscenze maturate fino a quel momento mi sono state di grande aiuto. Ma soprattutto per me è stato amore a prima vista. Il fatto poi di essere preparato sull’utilizzo di specifici software di analisi di immagini ha reso il mio lavoro ancora più decisivo per l’azienda e dopo tre anni ha deciso di creare un team da me guidato, di cui fanno parte ad oggi altre cinque persone. Il mercato di AstraZeneca per una parte consistente, oltre la metà, è legato alla oncologia, mentre il settore nel quale operiamo noi rappresenta un’altra fetta importante. Ci sono poi anche cardiologia e malattie rare mentre i vaccini rappresentano una piccolissima percentuale del mercato».

Sapete che in Italia siete conosciuti molto per il vaccino anti Covid?

«Sì, certo, è un aspetto di cui non mi sono occupato ma come ho già detto i vaccini rappresentano una percentuale residuale. Proprio per quanto riguarda invece le malattie dell’apparato respiratorio l’obiettivo di AstraZeneca è diventare sempre di più leader mondiale nella cura di patologie come la fibrosi polmonare idiopatica, le malattie polmonari ostruttive, la tosse cronica e l’asma».

Su quali progetti state lavorando ora?

«Il mio team si occupa principalmente di ricerca nella fase preclinica, quindi su farmaci che sono ancora a livello iniziale. Pensate che servono in media da 10 a 15 anni per poterli sviluppare e poi commercializzare. Stiamo anche lavorando su farmaci che sono in fase clinica, quindi decisamente più avanzata, e tra questi un farmaco innovativo per la cura dell’asma. Per quanto riguarda il settore immunologico lavoriamo su patologie come lupus eritematoso, coliti, artrite reumatoide. Quello che mi preme sottolineare è che il nostro obiettivo è scientifico, cioè la risoluzione delle patologie, la mitigazione degli effetti e dei sintomi. Noi collaboriamo molto anche con i patologi. Utilizziamo l’intelligenza artificiale che con l’analisi delle immagini semplifica, e di molto, il loro lavoro andando a trovare subito i tessuti lesionati o infiammati».

Quali differenze ci sono tra la Svezia e la Sardegna? «Le differenze ci sono prima di tutto tra la Svezia e l’Italia, non soltanto la Sardegna. Qui in Svezia c’è un welfare aziendale e un’assistenza familiare tra i migliori al mondo. C’è un riconoscimento ed una tutela del lavoro molto forte. Ma c’è anche una differenza evidente proprio di atteggiamento. In Svezia ho capito quanto sia importante il valore del tempo e il fatto che ogni lavoro deve rispettare delle fasi e dei cicli. In Italia si vuole sempre tutto e subito e questo spesso è un problema. Ma c’è anche altro».

Si spieghi meglio.

«Un’altra differenza è che qui c’è una gerarchia orizzontale. Anche chi è a capo di un team non fa in alcun modo pesare il fatto di avere un ruolo più alto rispetto agli altri. Non c’è alcun tipo di prevaricazione ma, al contrario, un rispetto totale che da noi a volte viene meno».

Quali sono i prossimi obiettivi professionali?

«Io sono molto ambizioso e vorrei continuare a crescere professionalmente, almeno fino a quando questa crescita non interferirà troppo con il tempo che vorrei dedicare alla famiglia: se gli aspetti saranno conciliabili spero a breve di poter guidare un team di ricerca ancora più ampio».

Ritornare in Sardegna fa parte dei suoi piani?

«Ritorno spesso perché nell’isola ci sono i miei genitori, i miei affetti e perché la Sardegna è comunque la mia terra, quella a cui sono legato. Ma per quanto riguarda il lavoro credo che non ci siano le condizioni per ritornare in Sardegna e neppure in un’altra regione d’Italia».

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