Elezioni comunali, la Sardegna in controtendenza: un modello per il centrosinistra
Ma la Sardegna ha registrato la percentuale di affluenza alle europee più bassa d’Italia
Ci sono due aspetti chiave che segnano questo nuovo passaggio al voto nell’isola. Il primo: in Sardegna il Campo largo, che si è dimostrato poco competitivo altrove, per ora funziona. E vince. Il secondo: l’isola e l’Europa restano due mondi distanti. Troppo distanti. I numeri raccontano questo. Di fatto, in poco più di tre mesi, tutto si è capovolto anche a dispetto dei pronostici, nonostante nelle ultime settimane il centrosinistra stesse intimamente cullando la possibilità di spuntarla al primo turno, evitando la strettoia sempre rischiosa dei ballottaggi.
C’è un adagio piuttosto semplice ma di efficace verità: se stai bene vota governo, altrimenti cambia. Evidentemente, nelle principali città della regione dove si è votato, ha prevalso questa linea, nonostante una tendenza che spinge la maggioranza del Paese verso destra.
Inutile addentrarsi in un giudizio politico sulle amministrazioni che hanno appena svuotato gli uffici ma, sulla bilancia del consenso, gli ultimi cinque anni di governo sono stati giudicati insufficienti e, almeno a Sassari, l’alleanza di centrosinistra non ha dovuto neppure sfruttare il dualismo tra il centrodestra tradizionale e civici, perché Giuseppe Mascia è andato senza affanno oltre il 50 per cento contenendo al minimo il rischio di una fuoriuscita di voti verso Mariano Brianda, l’altro candidato che pescava consensi nella stessa area. I risultati di Massimo Zedda a Cagliari e di Raimondo Cacciotto ad Alghero, seppure con le varianti del caso, stanno alla politica come un 6-0 al tennis. Chi muove la bacchetta nell’orchestra del centrosinistra è stato bravo a capire che, soprattutto a Sassari e Alghero, serviva una virata decisa verso il rinnovamento lasciando le parti da solisti ai giovani che, diversamente, avrebbero rischiato di dover attendere ancora, mettendo in pericolo il risultato stesso delle urne. A questo va aggiunto che l’effetto Todde c’è stato. Anche questo è un dato da considerare, senza dispensare giudizi di merito sull’attività di una giunta regionale che, in tre mesi, qualcosa ha fatto ma senza ancora rompere gli schemi come annunciato in campagna elettorale.
Di sicuro, questa tornata di comunali insegna ancora una volta che la politica del consenso pronto uso è soggetta a incepparsi. Servono progetti di prospettiva che ancora nessuno, né a destra né a sinistra, in questi anni è stato in grado di portare a terra. I due giorni alle urne ci lasciano poi un altro spunto di riflessione. La Sardegna ha registrato la percentuale di affluenza alle europee più bassa d’Italia. Un misero 36,8 per cento dimostra la difficoltà a capire come funziona l’Unione europea e il senso di questo voto. Certo le giustificazioni non mancano perché l’Ue è un complesso istituzionale completamente differente rispetto a quello a cui siamo abituati. La sua “architettura” è di fatto un ibrido. Come ha detto l’ex ministro degli Affari esteri, Enzo Moavero Milanesi, non è più una semplice associazione di Stati, non è ancora una federazione, come sognavano i padri fondatori, e neppure una confederazione. L’Europa, questo tipo di Europa, non è percepita dalla “pancia” della gente anche per colpa di chi, fino ad ora, l’ha rappresentata al parlamento di Strasburgo. Per uscire da questa disaffezione, bisognerebbe innanzitutto mettere la questione “costituzionale” dell’Ue al centro del dibattito. Altrimenti, non capendo per che cosa si è chiamati a votare, aumenterà il distacco dalle urne. Per quanto riguarda la Sardegna c’è da aggiungere un carico ulteriore di disaffezione. È vero, votare è un diritto e al contempo un dovere, ma se le regole del gioco non consentono di fare neppure un gol è chiaro che le tribune resteranno sempre più vuote. In quarant’anni di elezioni europee la Sardegna ha spedito a Bruxelles solo 13 deputati. Troppo pochi per accendere una scintilla di interesse verso un’istituzione per molti a distanza siderale rispetto all’isola e che, anzi, spesso viene sentita come una dispensatrice di vincoli e divieti. Senza pensare, però, che dall’Ue possono arrivare badilate di denari. Che poi l’isola non sia in grado di spenderli è un’altra storia.