La Nuova Sardegna

L’intervista

L’antifascismo delle donne, la docente di Storia Valeria Deplano: «In 70mila contro l’oppressione»

di Massimo Sechi
L’antifascismo delle donne, la docente di Storia Valeria Deplano: «In 70mila contro l’oppressione»

Resistenza al femminile: «Dalle celeberrime staffette alle varie operazioni militari»

24 aprile 2024
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Sassari «Il 25 aprile è la festa che celebra i valori della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, che sono poi i principi fondanti della nostra Repubblica. È la vittoria della lotta contro il fascismo che quei valori aveva cercato di sopprimere. Le donne, in tutta Italia, e dunque anche in Sardegna, hanno svolto un ruolo importantissimo nella lotta di liberazione e nella resistenza. Si è parlato tantissimo delle staffette e dunque del fondamentale ruolo di collegamento e di cura, si è parlato meno invece della partecipazione diretta anche nelle operazioni militari».
Valeria Deplano insegna Storia Contemporanea all’Università di Cagliari. Da poco è uscito un suo libro, scritto insieme ad Alessandro Pes, dal titolo “Storia del colonialismo italiano”. Un volume edito da Carocci che racconta le vicende del colonialismo anche nel periodo del ventennio fascista.

Il colonialismo anche se non è nato col fascismo è un altro degli aspetti più oscuri del ventennio?

«Sì, perché all’interno di quel regime il colonialismo diventa ancora più oppressivo. I diritti che in un sistema coloniale sono già ridotti subiscono un’ulteriore diminuzione. Già dagli anni ’30 si enfatizza il significato del razzismo che diventa un razzismo biologico e anche il trattamento che viene riservato alle donne delle colonie è caratterizzata da una duplice oppressione: perché africane, e quindi considerate inferiori, e perché donne. Ma la storia purtroppo ci insegna che le donne subiscono sul proprio corpo le guerre e l’opposizione ai regimi. È quel che è avvenuto anche a chi non si è adeguata al fascismo e ha partecipato alla resistenza e alla lotta di liberazione».

Le donne scelsero più degli uomini di partecipare alla resistenza?

«Esattamente, per gli uomini era una scelta obbligata: dopo l’8 settembre vengono chiamati alle armi e quindi la decisione era tra combattere al fianco dei nazifascisti oppure dalla parte opposta in una lotta di liberazione. Le donne invece non avevano questo aut aut. Quelle che lo fanno decidono di farlo senza avere la pressione di questa scelta. Lo fanno rovesciando un modello, quello fascista, che imponeva loro di stare a casa».

Quando iniziarono le attività dei primi gruppi a cui partecipavano anche le donne?

«Nel 1943 in Italia nascono i primi gruppi di difesa delle donne, fondati dal Pci, dal Psi, dal Partito d’Azione e in seguito si aggiungerà anche la Dc. Era la struttura che aveva come obiettivo il sostegno alla partecipazione delle donne nelle varie forme che abbiamo detto prima: le celeberrime staffette ma anche quella diretta nelle operazioni della guerra di liberazione. Anche la storia spesso ha messo sottotraccia questo aspetto, forse proprio perché non rispondeva al modello immaginario femminile. Ma è corretto evidenziare anche questo fondamentale apporto. In tutto il Paese si calcola che fossero circa 70 mila quelle che facevano parte dei gruppi di difesa e 35 mila riconosciute come partigiane. Ma i numeri sono probabilmente anche più alti».

In questi giorni si è parlato molto della vicenda del monologo di Scurati, qual è stata la sua reazione e qual è il suo giudizio da storica?

«La mia reazione è stata di sconforto ma purtroppo non di sorpresa. Veniamo da due decadi in cui la Resistenza è stata sistematicamente delegittimata e si è acceso un dibattito sui valori dell’antifascismo che evidentemente non sono condivisi da tutti, come forse chi aveva dato origine alla Repubblica aveva pensato. Diciamo che per tantissimo tempo l’antifascismo è stato un patrimonio che andava anche al di là dei posizionamenti politici, ora tutto questo è stato progressivamente messo in discussione».

C’è sempre più necessità di tenere viva la memoria, oggi ancora di più considerato che i testimoni di quell’epoca stanno via via scomparendo.

«È importantissimo ed è fondamentale, proprio perché stiamo andando sempre di più verso un periodo nel quale non ci saranno più le persone che potranno direttamente raccontare quello che è stato il ventennio fascista e la liberazione. Per fortuna ci sono molte memorie mediate. Il vero problema è riuscire a raggiungere tutti e fare in modo che tutti, anche le nuove generazioni, possano avvicinarsi e interessarsi, capire il perché qualcuno abbia scelto la strada della resistenza.

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