La Nuova Sardegna

La lettera

Pronto soccorso, l’atto d’accusa dei direttori: «Noi vittime di un sistema sanitario che non funziona»

di Ilenia Mura
Pronto soccorso, l’atto d’accusa dei direttori: «Noi vittime di un sistema sanitario che non funziona»

I medici dell’emergenza urgenza sul caso Carbonia: «Non è un’eccezione, ma la fotografia quotidiana di una realtà che tutti conoscono e che in pochi denunciano»

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Sassari «Non siamo noi i responsabili delle lunghe attese e dei mancati ricoveri, anche noi siamo vittime di un sistema che non funziona».

direttori dei Pronto soccorso dell’isola uniti in difesa della categoria e della collega della Asl 7 di Carbonia, Viviana Lantini, anche lei vittima come gli altri «di un sistema» – denunciano i medici della Sardegna –  «che si  regge sul loro sacrificio, sulla loro dedizione e sulla loro tenacia».

Dal direttore del Ps del Brotzu di Cagliari, Fabrizio Polo, ad Anna Laura Alimonda (Asl Cagliari), a Wolfgang Orecchioni (Aou Cagliari), Luca Pilo (Tempio). E ancora: Michela Matta (San Francesco di Nuoro), Priscilla Ongetta (San Martino di Oristano), Pietro Fortuna (Paolo Merlo, La Maddalena), Nicola Tondini (Paolo Dettori di Tempio), Giovanni Sechi, Paolo Pinna Parpaglia (Aou Sassari), Stefano Sau (Direttore sanitario di Areus). Sono in tutto quattordici le firme poste in un documento durissimo che manda con forza indietro al mittente accuse attribuite «ingiustamente» ai direttori dell’emergenza urgenza che non sono – ribadiscono – responsabili di attese infinite o mancati ricoveri, così come è accaduto qualche giorno fa al pronto soccorso del Sirai di Carbonia, dove una paziente 82enne di Sant’Antioco, arrivata in ospedale per una frattura al femore, ma già provata da una grave malattia, è deceduta per questo 12 giorni dopo, in attesa però di essere ricoverata e operata in un reparto di competenza. «Ma la ricerca è risultata particolarmente complessa per indisponibilità in altri presidi», aveva poi precisato due giorni dopo dall’accaduto la Asl 7 del Sulcis

In una lunga lettera, inviata ai commissari delle Asl e all’assessore alla Sanità Armando Bartolazzi i direttori delle strutture di emergenza urgenza dell’Isola sono un vero fiume in piena. 

«Con ferma indignazione – scrivono – ma altrettanta compostezza istituzionale, i Direttori dei Pronto Soccorso della Regione Sardegna intendono esprimere piena solidarietà e vicinanza alla collega coinvolta nella recente vicenda mediatica di Carbonia, relativa alla gestione di un caso di frattura di femore, impropriamente utilizzato per muovere accuse contro il sistema dell’emergenza-urgenza regionale».

Fin da subito vogliamo ribadire – prosegue la nota – «che la difesa della collega è la difesa di tutti noi. Ogni Direttore di Pronto Soccorso, ogni medico, ogni infermiere che opera quotidianamente nei reparti dell’emergenza, riconosce in questa vicenda se stesso, le proprie difficoltà e il proprio senso di responsabilità. Difendere una collega significa difendere l’intera categoria di professionisti che, giorno e notte, sorreggono un sistema che si regge sul loro sacrificio, sulla loro dedizione e sulla loro tenacia. Esprimiamo inoltre cordoglio per la morte della paziente. Ogni perdita rappresenta una ferita per la comunità sanitaria e un dolore condiviso: indipendentemente dall’età, dalle condizioni o dalle patologie, la morte di un paziente è sempre una sconfitta — professionale, umana e di sistema. La solidarietà manifestata a una professionista colpita dall’esposizione mediatica non è un gesto di categoria, ma un atto di giustizia verso chi ha agito nel rispetto della propria missione, in un contesto organizzativo che ogni giorno mette alla prova l’intero sistema sanitario».

I medici si difendono dai duri attacchi mediatici vergati sui social, ricevuti ingiustamente: «Ancora una volta, si assiste allo sdegno improvviso e tardivo di chi, pur conoscendo perfettamente le criticità strutturali del sistema, sceglie di puntare il dito contro l’unico presidio che non chiude mai: il Pronto Soccorso. È doveroso ricordare che il Pronto Soccorso rappresenta la porta di ingresso dell’intero sistema sanitario, ma non ne è il punto di arrivo».

«I tempi di attesa, i ritardi nei ricoveri e le difficoltà di gestione dei pazienti non sono il frutto dell’inefficienza dei professionisti che vi operano, bensì l’effetto diretto di una rete ospedaliera in sofferenza, dove i presidi periferici – spesso collocati in aree disagiate – sono costretti quotidianamente a confrontarsi con l’assenza o la ridotta disponibilità di reparti specialistici; la cronica carenza di posti letto nei presidi Hub; la mancata applicazione delle delibere e delle normative regionali che impongono ai centri di riferimento di accogliere i pazienti provenienti dagli Spoke periferici».

In questo contesto – denunciano i medici –  ogni trasferimento diventa «una battaglia quotidiana, ogni ricovero un negoziato, ogni decisione clinica un atto di responsabilità che si compie spesso in solitudine, tra urgenze simultanee e risorse ridotte all’essenziale. A tutto questo si aggiunge una piaga che da anni affligge il sistema sanitario: il boarding, ovvero la permanenza prolungata in Pronto Soccorso di pazienti già valutati e in attesa di ricovero. Un fenomeno tanto frequente quanto inaccettabile, che trasforma i Pronto Soccorso in reparti di degenza forzata. Ci troviamo spesso a gestire pazienti per giornate o addirittura settimane, in condizioni di sovraffollamento che mettono a rischio la sicurezza, la dignità e la qualità delle cure. Il boarding non è una responsabilità dei medici o degli infermieri dell’emergenza: è il sintomo di un sistema che non riesce più a garantire il proprio flusso di presa in carico, e che scarica sul Pronto Soccorso l’intera disfunzione organizzativa dell’assistenza ospedaliera. Chi opera nei Pronto Soccorso conosce bene cosa significhi prendersi carico di pazienti in barella, in attesa di un posto letto che non si libera mai. Eppure, nonostante tutto, il personale continua a garantire assistenza, dignità e sicurezza, spesso oltre ogni limite umano e professionale».

«Siamo stanchi di assistere a campagne mediatiche superficiali e offensive, che trasformano in colpevoli coloro che ogni giorno sorreggono, con abnegazione e competenza, un sistema che altrimenti collasserebbe. Se davvero si vuole cambiare qualcosa, si inizi ad applicare con rigore le regole esistenti, a far rispettare le reti Hub & Spoke, e a riconoscere il valore e il sacrificio di chi lavora nei Pronto Soccorso della Sardegna. Il caso di Carbonia non è un’eccezione: è la fotografia quotidiana di una realtà che tutti conoscono, ma pochi hanno il coraggio di denunciare. Con dignità e fermezza, respingiamo ogni accusa infondata e riaffermiamo il nostro impegno a tutelare i pazienti, ma anche i professionisti che ogni giorno difendono, nel silenzio e nel sacrificio, il diritto alla salute di tutti».

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