La Nuova Sardegna

Il commento

Sassari impazzita per l’influencer, ma non scende in piazza per un ideale

di Luigi Soriga

	<em>(foto Mauro Chessa)</em>
(foto Mauro Chessa)

A Monte Rosello è andato in scena uno di quei piccoli grandi cortocircuiti del nostro tempo

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A Monte Rosello è andato in scena uno di quei piccoli grandi cortocircuiti del nostro tempo. Bastava affacciarsi in via Sulcis per capirlo: centinaia di ragazzi stipati, gli smartphone alzati come ceri in una processione, tutti in attesa di loro, Very e Sasy, influencer neomelodica di Secondigliano e il marito, un milione e 600mila follower, saghe familiari più intricate di una serie Netflix, e un passato che traballa tra alloggi popolari occupati e crocifissi d’oro da un chilo regalati ai nipoti per il battesimo. Sassari, che per portare duecento persone a una manifestazione deve fare miracoli degni di Padre Pio, per Very e Sasy ne mobilita 1500 nel tempo in cui uno apre TikTok. Lei è arrivata chiamando i suoi fan “tigrotti”, e i tigrotti hanno risposto: vale la pena correre a vedere la regina e il re del reality domestico. La forza misteriosa dei nuovi raduni digitali supera qualunque calamita sociale: non servono idee, non servono programmi, non serve nemmeno una causa. Basta un filtro bellezza e un jingle orecchiabile. E un annuncio su Instagram: “Tigrotti, ci vediamo là”.

La polizia chiude via Sulcis. Le macchine bloccate. Le vetrine illuminate dal bagliore dei telefonini. Sembra un dettaglio, invece è un sintomo. Perché questa città, come tante altre, quando c’è da mobilitarsi per un’idea, un diritto, una protesta, si riscopre apatica? Ma per Very sì, per Very la gente accorre. Per Very straripa. Perché una tiktoker neomelodica napoletana e suo marito riescono a muovere più persone di qualunque iniziativa civica, culturale o politica? E lo fanno a qualunque latitudine? C’è da chiedersi come succeda. E perché. Forse perché la politica, la cultura, le piazze hanno smesso da tempo di somigliare alla vita delle persone. Troppa fatica, troppi discorsi. Mentre i social ti danno tutto in un minuto: appartenenza, identità. Ti dicono: tu sei un tigrotto, uno dei miei. E molti, soprattutto i più giovani, si accontentano di questo.

Very & Sasy non sono solo due influencer. Sono un format ambulante. Matrimonio da adolescenti, cinque figli, un paio di nipoti, un passato in salita, un presente in discesa, tutto ripreso in diretta, tutto sopra le righe. È un eccesso continuo.

Ed è proprio quella vita esibita, quel troppo che straborda a diventare magnetico. Perché? Perché per molti ragazzi, anche per quelli che intasavano Monte Rosello, quella soap napoletana è il reality dell’ascensore sociale. Non studi, non hai un lavoro fisso, non hai santi in paradiso. Però puoi diventare qualcuno sui social: piangere, ridere, litigare, esibire un piatto di pesce, la macchina in leasing, la catena luccicante, la vacanza a Sharm. Un’illusione? Certo. Ma raccontata benissimo. Con un linguaggio diretto. I tiktoker neomelodici non sono divi inarrivabili e non parlano forbito. Parlano come si parla in strada. Tra un congiuntivo storto, una parolaccia, un “Tu sei un cannello, fai solo un bordello” cantato in cucina.

E così, con il microfono in mano e una spontaneità che trafigge, raccontano il caos, la povertà agghindata, il kitsch orgoglioso, il lusso preso a rate, le cadute e le resurrezioni inaspettate. Spesso lo fanno male, anche malissimo. Ma lo fanno tutti i giorni. E noi genitori invece come replichiamo? Che idea di comunità stiamo offrendo a una generazione che si stringe più facilmente a un avatar sbriluccicante che alla forza di un ideale? Che forma di partecipazione abbiamo lasciato loro, oltre al tasto “segui”?

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