Medici in pensione di nuovo in servizio, l’allarme: «Così tutti lasceranno il lavoro per rientrare con due stipendi»
Secondo Antonello Desole (Fimmg) il rimedio per compensare la mancanza di camici bianchi è destinato a produrre distorsioni
Sassari C’è un ennesimo paradosso dentro la sanità sarda: medici giovani che non accettano gli incarichi perché mancano le tutele minime, e medici in pensione che tornano in corsia per tappare le falle. «Una turbativa», la chiama Antonello Desole, segretario provinciale della Fimmg Sassari. E avverte: la toppa rischia di costare più del buco. «È vero: il primo compito di un sistema sanitario nazionale è garantire la tutela della salute – dice – ma questa decisione rappresenta una turbativa nei corretti rapporti tra medici e sistema sanitario. Oggi non c’è una vera carenza di medici: c’è una carenza di condizioni che li mettano in grado di accettare gli incarichi».
Secondo Desole, il problema è strutturale: «Molti colleghi guardano al privato o ad altri incarichi perché mancano le indennità di infermiere, segreteria, rimborso chilometrico. Il forfettario previsto adesso è assolutamente insufficiente». Il risultato, spiega, è che «aprire uno studio, soprattutto in zone disagiate, non conviene. E questo mentre un medico in pensione ha già un trattamento economico stabile e spesso non inferiore allo stipendio di un giovane. È evidente che parta da una condizione di vantaggio». Desole segnala anche una distorsione contrattuale: «Si crea un paradosso: un giovane medico non ottiene indennità che lo metterebbero nelle condizioni di lavorare, mentre lo Stato finisce per pagare a un pensionato sia la pensione sia un contratto libero professionale».
E aggiunge: «Così com’è, questa norma rischia addirittura di produrre l’effetto contrario: spingere i medici ad andare in pensione prima per poi rientrare subito con un incarico. In pratica si prenderebbe la pensione piena e, subito dopo, anche la nuova convenzione». A questo punto, osserva, «bisogna chiedersi cosa costi di più. Sicuramente pensione più stipendio costano più delle indennità che servirebbero a far accettare gli incarichi ai medici presenti in graduatoria».
Il segretario Fimmg affronta poi un tema che considera «molto delicato»: l’utilizzo del ricettario regionale da parte dei pensionati reintegrati. «È stato detto chiaramente che potranno usarlo. Ed è logico: mandare un medico in un paese senza ricettario non avrebbe senso». Tuttavia, avverte Desole, «una legge dello Stato riserva il ricettario ai dipendenti e ai convenzionati del sistema sanitario nazionale. Lo prova il fatto che strutture come il Policlinico o il Mater di Olbia non possono usarlo autonomamente e devono passare tramite un convenzionato. È verosimile aspettarsi ricorsi».
Altro punto critico riguarda la formazione. «Un medico in pensione da due, tre o cinque anni potrebbe non essere aggiornato sulle norme prescrittive e assistenziali, che in questo periodo sono cambiate molto». E aggiunge: «I medici in servizio devono fare 50 crediti Ecm all’anno. Dobbiamo chiederci se chi è in pensione da tempo li abbia effettivamente». Un nodo ancora più delicato per chi dovesse lavorare in continuità assistenziale o nelle guardie turistiche: «In quei casi c’è anche il pronto intervento e l’emergenza in attesa del 118. È impensabile farlo senza un adeguato aggiornamento professionale».
Desole non chiude la porta all’ipotesi dei pensionati, ma pone paletti precisi: «I medici in pensione possono essere una risorsa, sì, ma solo quando vengono garantite tutte le tutele ai giovani medici che oggi non accettano gli incarichi per mancanza di indennità». E ribadisce: «Questi incarichi per i pensionati devono essere temporanei. Se un medico in graduatoria prende la titolarità, il pensionato deve lasciare in tempo reale». Il segretario Fimmg sottolinea però che, nel confronto con altre ipotesi emerse in alcune Asl, quella dei pensionati può risultare la meno rischiosa. «È comunque preferibile rispetto al ricorso a medici extracomunitari non formati in Italia. Lì si sommano problemi linguistici, scarsa conoscenza del nostro sistema sanitario e costi elevatissimi. Abbiamo già vissuto l’epoca dei gettonisti pagati 900 euro a notte». La conclusione è netta: «Non possiamo dire no a priori a qualunque soluzione che garantisca assistenza. Ma questa soluzione deve passare attraverso la tutela dei medici iscritti in graduatoria regionale».
