Violenza, a Sassari ogni tre giorni una donna chiede aiuto
I terribili numeri del Cav a 25 anni dalla sua istituzione
Sassari Centotrentotto segnalazioni da gennaio, centoquattro donne prese in carico, diciassette interventi in emergenza. Sono i numeri del Progetto Aurora nel suo venticinquesimo anno di attività: una fotografia nitida di una violenza che a Sassari continua a bussare ogni giorno alla porta del Centro Antiviolenza di via dei Mille.
Dal 2000 a oggi le richieste sono state 3.600, mentre nella casa protetta hanno trovato riparo 261 donne con 138 minori. Un quarto di secolo di lavoro che racconta un fenomeno ancora lontano dall’essere arginato.
La risposta Aurora nasce come risposta pubblica a una violenza che si muove soprattutto dentro la famiglia. Al Cav l’équipe multidisciplinare lavora sul primo impatto, il più delicato: il momento in cui una donna decide di cercare aiuto.
«La violenza psicologica è la più insidiosa, quella che annulla l’identità e tiene le donne intrappolate in una spirale di controllo», spiega la coordinatrice Stefania Puggioni. «Molte arrivano dopo anni, quando la tensione quotidiana è diventata insostenibile».
I nodi Ascolto gratuito, accesso diretto o telefonico, anonimato garantito. È qui che emergono i nodi più profondi: la vergogna, il timore di non essere credute, la paura per i figli, il ricatto economico. Spesso a rallentare il percorso è la speranza che “qualcosa cambi”, un’illusione che si scontra con la realtà di violenze ripetute, intervallate da promesse puntualmente disattese. Il lavoro del Cav è creare uno spazio protetto che permetta di nominare la violenza, darle un contorno, capirne la dinamica. Senza pressioni, senza giudicare.
La casa Quando la situazione lo richiede, si passa alla Casa Aurora. Una struttura protetta che garantisce presenza h24 grazie a otto educatrici e una pedagogista. Qui l’ingresso può avvenire in emergenza o su invio programmato. Nel 2025 sono state ospitate 14 donne con 15 figli: numeri piccoli solo in apparenza, perché ogni accoglienza è un percorso complesso che tocca salute, giustizia, scuola, rete sociale.
Ripartenza «La casa non è solo un rifugio, è un luogo di ripartenza», sottolinea la coordinatrice Emanuela Bussu. «Le donne arrivano svuotate, spesso isolate da anni. Il nostro obiettivo è restituire loro la possibilità di scegliere, di riprendere in mano la quotidianità, di sentirsi nuovamente persone e non solo vittime».
Le educatrici seguono gli spostamenti esterni, curano la gestione del quotidiano, accompagnano nei tribunali, negli uffici, nei servizi sanitari. Un lavoro continuo, fatto di piccoli passi a volte invisibili, ma che segnano la differenza.
Violenza La violenza che Aurora incontra è in larga parte domestica: partner, mariti, conviventi. Botte, umiliazioni, minacce, isolamento, controllo sull’uso del denaro, rapporti sessuali imposti. E in molti casi tutto avviene davanti ai figli, che diventano spettatori obbligati di un clima fatto di paura e silenzi. La violenza assistita è una ferita che si porta dietro per anni e che influenza il modo di crescere, di amare, di fidarsi.
Prevenire Sul fronte della prevenzione Aurora lavora a più livelli: formazione per operatori sociali e sanitari, progetti nelle scuole, attività di sensibilizzazione, iniziative con le forze dell’ordine, presenza costante negli eventi pubblici.
Due progetti hanno segnato l’ultimo biennio: Red Flag, finanziato con fondi europei e centrato sulla prevenzione tra i giovani, e Free.da, sostenuto dalla Fondazione con il Sud, dedicato al rafforzamento dei percorsi di autonomia dopo l’uscita dalla violenza.
Libertà Sul piano economico, il Reddito di Libertà resta un tassello fondamentale: negli ultimi sette anni ha permesso a decine di donne di avviare un percorso di indipendenza reale, anche quando la separazione dal maltrattante implicava la perdita della fonte di reddito.
Accanto a questo strumento opera il Pronto Intervento Rosa, attivato 17 volte da giugno, che garantisce risposta immediata nelle situazioni più critiche. A venticinque anni dalla sua nascita, Aurora resta un argine essenziale. Ma l’argine non basta. La costanza con cui arrivano richieste, la velocità con cui si riempiono gli spazi di ascolto e accoglienza, raccontano un fenomeno che continua a riprodursi. La rete funziona, cresce, si rafforza. Ma la radice culturale della violenza resta ancora lì, solida.
L’argine Il messaggio che arriva dalle operatrici è chiaro: nessuna donna è uguale all’altra, nessun percorso si somiglia. Uscire dalla violenza è possibile, ma richiede tempo, lavoro di squadra e una comunità capace di riconoscere i segnali. Chi bussa ad Aurora trova un ascolto che non giudica e non impone, ma accompagna. Perché il primo passo fuori dalla paura, quasi sempre, è una voce che risponde.
