Non le concedono il prestito perché è una ragazza con autismo. La reazione: «Questa è discriminazione»
La richiesta per rinnovare la cameretta è stata bloccata davanti agli occhi della giovane e del padre. Asara (Sensibilmente): «Purtroppo situazioni simili non sono rare»
Olbia «Noi non diamo prestiti agli autistici». Sono state le parole che una giovane donna si è sentita rivolgere allo sportello di una società finanziaria di Olbia. Una frase improvvisa, secca, che l’ha tramortita come un pugno allo stomaco. Una frase che Elena – nome di fantasia – non avrebbe mai voluto sentire. Lei, una ragazza con autismo, si è recata sabato mattina in filiale insieme al padre per chiedere un piccolo prestito. Un progetto semplice: rinnovare la cameretta, senza pesare sulla famiglia e senza toccare i propri risparmi.
Elena è una giovane attiva, impegnata nel sociale e nella sensibilizzazione dei ragazzi ai gesti di solidarietà quotidiana. È parte di un gruppo di volontari e dedica tempo ed energie alle iniziative in cui crede. Qualche tempo fa aveva raccontato così il valore di ciò che fa: «Sono una ventenne autistica e quello che sto facendo per me è estremamente importante, e mi piacerebbe servisse a tante ragazze e ragazzi come me. Il percorso che sto effettuando in una associazione dimostra che anche convivendo con situazioni come la mia è possibile realizzare i propri sogni e rendersi utili per la collettività di cui siamo parte».
Qualche giorno prima dell’increscioso episodio aveva confidato al padre: «Vorrei rifare la cameretta, ma preferisco chiedere un prestito invece di usare i miei risparmi. Mi accompagni?». Una richiesta normalissima, portata avanti con determinazione. Arrivati allo sportello, però, qualcosa si incrina. Elena, davanti a una persona che non conosce, si emoziona e preferisce che sia il padre a parlare. Quando l’operatrice chiede perché non sia la ragazza a spiegare la richiesta, l’uomo chiarisce semplicemente: «Mia figlia è autistica e si sente un po’ a disagio di fronte a situazione nuove. Per questo parlo io». È a quel punto, sempre secondo il racconto del padre, che arrivano le parole con cui l’operatrice nega il prestito in modo discriminatorio.
Parole che non troverebbero fondamento nelle procedure: una compagnia finanziaria dovrebbe limitarsi a verificare la solvibilità della persona, la sua capacità di restituire un prestito. Null’altro. La compagnia finanziaria è stata contattata a livello nazionale attraverso l’ufficio stampa per un commento sull’accaduto. La richiesta è stata inviata sabato, ma al momento non è arrivata alcuna risposta.
Il padre sottolinea che la situazione economica di Elena era chiara e del tutto adeguata: «Mia figlia vive con noi, ha una buona pensione di invalidità, ha dei risparmi e ha una famiglia alle spalle. La sua solvibilità era evidente. Questo è l’unico elemento che doveva essere verificato. È inaccettabile – aggiunge –. Non si può nemmeno immaginare il danno che quelle parole hanno fatto a mia figlia».
Ieri mattina l’uomo si è recato anche dai carabinieri per raccontare nel dettaglio l’intera vicenda. Come primo passo formale nei confronti della finanziaria, presenterà un reclamo a livello nazionale, dopo aver già pubblicato una recensione dura e circostanziata sulla compagnia. Ma è pronto a presentare una denuncia per discriminazione, sulla base della legge 67/2006, che tutela le persone con disabilità da comportamenti ingiusti o lesivi della dignità.
Sulla vicenda interviene anche Veronica Asara, presidente dell’associazione SensibilMente Onlus di Olbia. «Purtroppo situazioni simili non sono rare. Anche molte compagnie assicurative non accettano di coprire progetti che coinvolgono persone con fragilità, rifiutando sia la responsabilità civile sia le coperture sugli infortuni. Ma così si esclude una parte significativa della popolazione. Per fortuna noi abbiamo i nostri assicuratori di riferimento, che queste coperture le garantiscono. Il caso di Elena – prosegue Veronica Asara – è da segnalare e da approfondire. Se quella frase è stata pronunciata nei termini riportati, si tratta di una discriminazione diretta, che va sicuramente denunciata. Perché crea ostacoli concreti all’autodeterminazione e alla possibilità, per le persone con fragilità, di compiere scelte normali e legittime come chiunque altro. Queste sono vere e proprie barriere».
