Mafiosi trasferiti a Uta, parla Nordio: «Garantiremo la sicurezza»
Caso 41-bis: il ministro della Giustizia incontrerà la presidente Todde. Carenza di magistrati, il guardasigilli: «Risolveremo i problemi di Nuoro»
Sassari La giustizia italiana resta una sfida. La Sardegna spicca per la lentezza dei processi ma la situazione è delicata anche sul versante penitenziario. Il carcere di Uta, destinato ad accogliere i detenuti al regime del 41-bis, è sovraffollato e ha poco personale. In più si aggiungono i rischi di infiltrazioni mafiose. Argomento che ha spinto la presidente Todde a chiedere un incontro con il ministro della Giustizia che, qualche giorno fa, ha accettato nonostante il polverone che si è alzato sulla riforma della separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. E anche la gestione delle carceri, con un tasso di sovraffollamento oltre il 130% e un drammatico numero di suicidi, è uno degli argomenti scottanti che il ministro dovrà risolvere.
Il procuratore generale di Cagliari ha definito l’isola “a forte rischio di sviluppo mafioso”, non crede che l’arrivo di altri detenuti al 41-bis nell’isola, in modo così massiccio, possa essere pericoloso? Il caso Cospito ha insegnato che anche i reclusi sottoposti al regime di carcere duro in realtà si parlano e si coordinano.
«No. Eventuali trasferimenti avverrebbero in modo perfettamente compatibile con le esigenze di sicurezza e anche di immagine. Sono situazioni estremamente sensibili, sulle quali la nostra riflessione è continua e approfondita».
In Italia la giustizia è ancora troppo lenta: in Sardegna, specialmente nel tribunale di Nuoro la situazione è critica, ha qualche novità in programma?
«Gran parte dei tribunali versa in situazione critica, perché mancano più di 1500 magistrati e alcune migliaia di collaboratori amministrativi. Noi per la prima volta dopo 80 anni colmeremo l’organico dei primi, per i quali sono conclusi, o sono in corso, ben 5 concorsi. Per i secondi abbiamo proceduto nei limiti delle risorse disponibili, e dopo l’incontro di questi giorni con il collega Giorgetti contiamo di averne altre. Il tribunale di Nuoro ne trarrà sicuramente vantaggi».
Separazione delle carriere, quale sarà l'effetto che i cittadini sentiranno? L'Associazione nazionale dei magistrati (Anm) ha parlato di una resa dei conti con loro.
«La riforma non è affatto una resa dei conti, è la necessaria conseguenza del processo accusatorio introdotto 40 anni fa da Giuliani Vassalli, eroe della Resistenza. Il vantaggio per tutti sarà di avere veramente un giudice terzo e imparziale, come è previsto dall’articolo 111 della Costituzione. Oggi un cittadino sottoposto a processo non sa che i suoi giudici vengono a loro volta valutati, nella carriera e nell’eventuale procedimento disciplinare, anche dai suoi accusatori. Che i Pm diano i voti ai giudicanti è un’anomalia tutta italiana, e quando ne parlo in sedi internazionali i colleghi stranieri manifestano incredulità».
Sempre l'Anm dice che la riforma indebolirà l'ordine giudiziario e l'indipendenza della magistratura...
«Al contrario. La riforma costituzionale affronta proprio i problemi cruciali della terzietà del giudice, della vera autonomia del Csm e di una Corte disciplinare non eletta, come è oggi, dai potenziali incolpati. Ridurrà i poteri delle correnti e libererà la magistratura dai suoi condizionamenti interni. Quanto ai sospetti di limitarne l’indipendenza, essa è garantita proprio dalla lettera della norma. Il resto è processo alle intenzioni e polemica sterile».
Secondo le opposizioni il Csm sarà uno strumento solo dei Pm, che diventeranno dei “superpoliziotti” senza confini e autogestiti, come risponde?
«Anche qui è esattamente il contrario. In realtà già oggi il Pm è un superpoliziotto, che dirige le indagini della Pg e magari le coltiva con enormi spese e senza risultati. La riforma non tocca i suoi rapporti con la Pg, che rimangono regolati dall’articolo 109 della Costituzione, ma i rapporti tra Pm e Giudice. Molti temono che il Pm perda la cultura del giudice. Io temo che alcuni giudici mantengano la cultura del Pm».
Abrogazione dell’abuso d’ufficio, lei ha più volte detto che questo reato paralizzava i sindaci. Ritiene che la paura di firmare fosse più dannosa della possibilità di commettere abusi?
«Certo, lo dicono le cifre. Meno dell’uno per cento delle indagini si concludeva con qualche risultato, peraltro modesto. I compenso intasavano gli uffici giudiziari, erano complesse e costose. I sindaci erano intimoriti e quasi paralizzati. Son venuti in processione a chiedere l’abrogazione di quella norma infausta. Molti erano di centrosinistra e, comprensibilmente, hanno mantenuto l’anonimato».
Uno dei problemi della giustizia è il costo dei procedimenti. Per le attuali soglie di patrocinio gratuito (13.659,64 euro) i cittadini con un reddito medio rimangono esclusi, rendendo loro difficile l’accesso alla giustizia, ci saranno adeguamenti?
«L’intera disciplina del gratuito patrocinio è da tempo oggetto di studio, perché è disomogenea e talvolta irrazionale. Ci sono persone abbienti che ne godono, e altre indigenti che non riescono a fruirne. Ci stiamo lavorando».
La giustizia in Francia e in Germania va al doppio della velocità rispetto all’Italia, con tribunali specializzati e magistrati di settore. Nei tribunali italiani ci sono invece più di 3 milioni di cause pendenti, la separazione tra civile e penale potrebbe portare a un aumento dell’efficienza dei tribunali?
«In realtà con l’attuazione del piano del Pnrr, questi tempi si stanno progressivamente riducendo. La durata media dei processi civili si è già ridotta del 20%, quella dei penali del 28%. Di questo dobbiamo ringraziare anche i magistrati, che hanno lavorato molto e molto bene. E in tempi ragionevoli ci allineeremo con gli altri Paesi».
Un’altra delle criticità della giustizia è il basso tasso di digitalizzazione che rende il modello italiano farraginoso. Servono investimenti strategici e strutturali, il ministero come ha intenzione di rispondere a questo gap con gli altri paesi europei?
«Qui entriamo nella tecnologia complessa. Nel civile siamo andati spediti, perché la struttura del procedimento è abbastanza lineare. Nel penale abbiamo trovato più difficoltà, perché la variabili, soprattutto nella fase investigativa, sono tali e tante per cui non è stato facile elaborare un programma. Ma ci stiamo arrivando. Abbiamo riorganizzato il Dipartimento per l’innovazione Tecnologica, potenziando le strutture Ict , cloud e sistemi telematici, avviando anche l’uso sperimentale dell’intelligenza artificiale nel pieno rispetto del regolamento europeo. E per monitorare lo stato di avanzamento abbiamo istituito un Osservatorio della giustizia digitale».
Carceri, dall’inizio dell’anno ci sono stati 45 suicidi, il presidente Mattarella ha definito il problema “drammatico”. Il tasso di sovraffollamento è oltre il 130% e le condizioni di vita dei detenuti peggiorano. Mancano psicologici, medici ed educatori. Come affronterete la questione?
«Ci stiamo occupando di 10.105 detenuti definitivi, con pena residua sotto i 24 mesi, che possono fruire di misure alternative alla detenzione in carcere. Spetta alla magistratura di sorveglianza decidere, caso per caso, se ne abbiano il diritto, e ora stiamo anche aumentando la pianta organica di questi magistrati, che ringraziamo per l’enorme lavoro che fanno. Nel frattempo interverremo sugli altri tre settori: la carcerazione preventiva, per la quale oltre 15mila persone sono in carcere in attesa di una condanna definitiva. Poi il trasferimento di stranieri nelle carceri dei paesi d’ origine: si tratta di oltre 20mila detenuti: basterebbe mandarne via la metà. Infine i tossicodipendenti. Abbiamo stanziato 5 milioni all’anno per il loro trattamento in custodia attenuata, in comunità, o altre strutture accreditate diverse dal carcere. Anche qui siamo prossimi alla soluzione ma non sono cose che si possono improvvisare».