Rapina al portavalori: armi, esplosivo, blocco della strada. Tutte le analogie tra l’assalto nelle Marche e quello in Toscana della “banda dei sardi”
Dalla ricostruzioni degli investigatori emergono forti elementi comuni tra i due colpi
Sassari Stesso copione, stessi mezzi, stesso livello di ferocia. A distanza di sette mesi, l’Italia centrale torna a fare i conti con un assalto ai portavalori organizzato con precisione paramilitare. Il primo, il 28 marzo 2025, lungo la variante Aurelia, nel Livornese: un commando di una dozzina di uomini armati, la banda dei sardi, tutti travisati, blocca la statale con auto rubate, incendia i mezzi e fa saltare in aria due furgoni portavalori della ditta Vigilpol. Il bottino, secondo le inchieste coordinate dalle procure di Livorno e Firenze, è di circa quattro milioni di euro, denaro destinato agli uffici postali per il pagamento delle pensioni.
L’ultimo episodio risale invece a lunedì 27 ottobre, sull’A14 tra Loreto, Porto Recanati e Civitanova Marche: una nuova banda tenta di ripetere lo stesso schema, piazzando chiodi a tre punte, utilizzando esplosivo e armi automatiche, e bloccando entrambe le carreggiate per assaltare due blindati in transito. L’azione fallisce per l’arrivo tempestivo delle forze dell’ordine, ma lascia dietro di sé auto incendiate e traffico paralizzato per ore. Tre persone vengono fermate tra Marche e Abruzzo.
Piano militare
Dalle ricostruzioni degli investigatori emerge una forte analogia tra i due colpi. In Toscana, la banda aveva agito con un piano militare: sopralluoghi, mezzi rubati, esplosivo per aprire i portelloni blindati e armi da guerra per tenere a distanza le pattuglie. Sulla A14, il gruppo che ha tentato l’assalto ha replicato la stessa tecnica, sostituendo l’Aurelia con l’autostrada adriatica: blocco del traffico, esplosione controllata, armi semiautomatiche, auto incendiate a creare una barriera di fuoco.
Luogo e orario
Anche la scelta del luogo e dell’orario coincide: tratti di grande viabilità, in orari di pieno transito, per sfruttare confusione e panico come deterrente. E in entrambi i casi, il bottino potenziale era costituito da trasporto di contanti destinati a circuiti postali o bancari.
L’organizzazione
Gli inquirenti toscani, che a maggio hanno arrestato undici persone tra Sardegna, Toscana ed Emilia-Romagna, avevano parlato di una banda “militarmente addestrata”. Un gruppo capace di spostarsi tra regioni, di organizzare il colpo come un’operazione logistica complessa: navi da Olbia, auto rubate, telefoni “puliti”, pizzini e basi di appoggio. Gli inquirenti marchigiani non escludono oggi che dietro il nuovo blitz ci sia una rete con modalità operative analoghe, se non addirittura collegata a quella smantellata in primavera. Le indagini, affidate alla Dda di Ancona e ai Carabinieri del Ros, puntano a verificare l’origine comune dei materiali esplosivi e dei veicoli.
Una firma criminale
Dalle prime analisi sembra emergere una firma criminale ben riconoscibile: uso simultaneo di esplosivo e armi pesanti, blocco della viabilità, azione lampo di pochi minuti. È lo stesso modello che aveva messo in ginocchio la viabilità tirrenica a marzo e che ieri ha paralizzato l’Adriatica per ore. Un metodo che richiama i colpi spettacolari degli anni ’90, ma con strumenti e logistica moderni: tecnologia, mappe digitali, telefoni criptati.
Esito diverso
Il bilancio, per ora, segna due operazioni molto simili per pianificazione e violenza, ma con esiti diversi: in Toscana il colpo è riuscito, nelle Marche è stato sventato. Entrambi, però, mostrano che in Italia esiste ancora chi pianifica rapine con logiche da commando, in grado di trasformare per qualche minuto una strada ordinaria in un campo di battaglia. (se.lu.)
