La Nuova Sardegna

Commercio in crisi

In Sardegna chiude un bar al giorno: l’isola perde 345 locali in un anno

di Paolo Ardovino
In Sardegna chiude un bar al giorno: l’isola perde 345 locali in un anno

A soffrire sono soprattutto le piccole caffetterie di quartiere. La Fipe: «Il settore cambia, chi non si rinnova non resiste. Gallura e Cagliari restano i poli più vitali»

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Sassari Qui il problema è capire come convivano queste due facce: primi posti e crisi senza fine. Nuoro ogni anno è la Provincia (in tutta Italia!) con più concentrazione di bar, e i cocktail bar sempre più diffusi iniziano a riempire le guide di qualità stilate dagli addetti ai lavori. Però poi nell’isola allo stesso tempo chiude ogni giorno un locale e la morìa non si arresta. I numeri dicono che in un anno in Sardegna hanno chiuso 345 bar. Praticamente un anno fa ogni giorno un titolare sparso nell’isola ha spento la cassa, staccato le spine dell’alimentazione dei frigoriferi e abbassato la saracinesca. Stando ai numeri, la discesa è precipitosa. L’isola che era dei vecchi tzilleri sembra l’isola dei locali glamour, ma solo nei grandi centri, e in realtà è sempre di più isola senza bar. Nel rapporto annuale della Fipe-Confcommercio, il saldo tra aperture e chiusure vede in Sardegna un buco di 345 attività con un picco di meno 145 imprese individuali. Chiudono i locali, e chiudono soprattutto le piccole caffetterie di quartiere. Quelli con le pareti in legno, i congelatori griffati Algida, i lampadari col ventilatore e quell’odore di Anni 70. In Sardegna resistono 4.687 bar, il 3,2 per cento in meno da 2023 a 2024. Non differisce dal trend negativo nazionale (-3,3%).

I perché «La lettura è semplice: assistiamo all’evoluzione di questo tipo di impresa. Molti pensavano che aprire un ristorante o un bar fosse il lavoro più semplice del mondo. Adesso chi non impara a muoversi e a leggere bene i numeri, non ce la fa»: il commento è tranchant. E arriva proprio da Emanuele Frongia, presidente della Federazione di pubblici esercizi della Confcommercio. Pub e locali sembravano il primo accesso, veloce e facile, al mondo dell’imprenditoria. Non è così, «e il covid ce lo ha insegnato» tanto da assistere a chiusure a raffica. La vita delle attività si è ridotta di molto. Conti in rosso, nessuna prospettiva e l’epilogo arriva in fretta. «Un aspetto importante è che da anni c’è una spettacolarizzazione del nostro mondo. Visto dalla tv sembra facile, e ci hanno rimesso una o forse due generazioni di imprese», sostiene Frongia.

Dove sono i giovani? L’esperto guarda alla Sardegna e la confronta con la situazione a livello nazionale. «I costumi delle persone stanno cambiando, nelle grandi città lo si nota di più ma è un discorso diffuso – riflette Frongia –. Aumenta il consumo fuori casa». Pranzare e cenare fuori non è più il lusso da concedersi un paio di volte al mese, anzi, e per i lavoratori la pausa pranzo si è decisamente trasformata. Sempre meno pranzi al sacco, sempre più menu tutto incluso alla tavola calda più vicina. «I light lunch», indica il presidente sardo di Fipe. «Questo vuol dire che molti bar si trasformano o sono chiamati a farlo». E non è scontato farsi trovare pronti. «No, infatti. L’ossatura del mondo delle imprese sono le piccole imprese e le imprese familiari, vale anche in questo caso, e c’è chi non vuole continuare a fare il lavoro portato avanti dai genitori». Ci saranno pure eccezioni felici, ma nel settore ristretto a bar e locali, in Sardegna le imprese giovanili sono appena il 9 per cento, ed è la percentuale più bassa d’Italia insieme a quella del Friuli. Non c’è il traino delle nuove generazioni e nemmeno quello di chi viene da fuori. Nell’isola solo il 3,5 per cento dei locali appartiene a imprenditori stranieri. Per intenderci, in Emilia-Romagna sono il 21,6 per cento.

Gallura e Cagliari top Si torna al bivio iniziale. Nero su bianco un’isola senza più insegne, ma la realtà dei centri storici vede un affollamento di tavolini e taglieri per aperitivi come mai prima. «Faccio l’esempio del Sud Sardegna, aumentano i numeri di occupati ma diminuiscono le aziende. Questo vuol dire che quelle che ci sono, e rimangono, si strutturano, crescono». E questo conferma anche il concetto di isola del divertimento: «Il turismo aumenta, e sicuramente il nord est, la zona della Gallura, segna una crescita importante – indica Emanuele Frongia di Fipe –, lì assistiamo ai fenomeni più interessanti. Cagliari in questo momento è invece il laboratorio delle contaminazioni delle cucine». I piccoli centri restano esclusi dai benefici di questa scia colorata. «La funzione dei bar dei paesi sta cambiando, prima erano i luoghi dove accadeva tutto. Stanno perdendo la centralità nella vita delle persone».

Chi vince e chi perde Ma allora è possibile tracciare un identikit di chi, oggi, fa impresa nei pubblici esercizi e con successo? «L’imprenditore che ha imparato a leggere i numeri. Non esiste più che penso il mio menu solo in base ai prezzi che vedo in giro, il territorio deve conoscere il “mark-up” di un’azienda (la quota di profitto che l’imprenditore aggiunte al costo di un prodotto, ndr). Chi si cimenta nel settore? Chi ha alle spalle una tradizione di famiglia o chi ha già lavorato in bar e locali e decide di investire inseguendo un grande trend». I bar diventano sempre più piccoli ristoranti, propongono menu con degustazioni di gin tonic e percorsi enologici al fianco di primi e secondi piatti. Anche i locali ora hanno uno chef nell’angolo cucina.

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