Naufragio mortale all’Asinara, Pinna convocato in caserma a Porto Torres
Il 36enne indagato per la morte del cugino Davide Calvia, davanti al pm si è avvalso per l’ennesima volta della facoltà di non rispondere
Sassari È stato convocato nei giorni scorsi nella caserma dei carabinieri di Porto Torres Giovannino Pinna, il 36enne sassarese indagato per omicidio e naufragio colposi dopo l’incidente (nel golfo dell’Asinara) nel quale ad aprile del 2023 perse la vita suo cugino, Davide Calvia, di 37 anni.
Ancora una volta, però, Pinna ha fatto scena muta davanti al pubblico ministero Lara Senatore che gli ha posto una serie di domande su quella tragica giornata. Le risposte dell’indagato (assistito dagli avvocati Salvatore Carboni e Marco Manelli) sono sempre state uguali: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Ancora silenzi, quindi, in un’inchiesta che sta volgendo al termine. Perché un anno fa c’era già stata una proroga delle indagini preliminari e l’impressione è che la Procura sia vicina alle conclusioni. Ragione per la quale la pm Senatore ha voluto fare un ultimo estremo tentativo per chiarire i tanti punti di domanda rimasti senza una risposta.
La morte di Davide Calvia resta avvolta nel mistero. Non si è mai fatta chiarezza sulle circostanze che hanno portato al naufragio dell’imbarcazione (rubata al porto di Porto Torres) sulla quale la vittima si trovava quel giorno insieme al cugino Giovannino Pinna (sopravvissuto al naufragio) per una battuta di pesca. E, soprattutto, non si è mai capito il motivo per cui quest’ultimo non abbia mai voluto parlare con gli inquirenti, tanto meno con i familiari.
Si è avvalso da subito della “facoltà di non rispondere”, atteggiamento che ha suscitato sospetti sulla dinamica della tragedia in mare. Soprattutto nei familiari di Calvia. «Nasconde qualcosa e restiamo del parere che chi sa e non parla è colpevole tanto quanto chi provoca la morte di una persona».
Quel 12 aprile del 2023 Pinna aveva chiamato dal suo cellulare (poi andato disperso in mare) la zia (mamma della vittima) per avvisarla che erano a pesca insieme e che a Davide si era scaricata la batteria del cellulare. Una delle tante circostanze che non hanno mai convinto i familiari di Calvia. In particolare la sorella Nadia si è sempre chiesta come mai quella telefonata non l’avesse fatta suo fratello. E più volte si è detta sicura del fatto che qualcosa di brutto fosse accaduto nelle ore precedenti quella chiamata e un’altra, fatta sempre da Pinna, alla Capitaneria di porto per lanciare l’sos: «Stiamo imbarcando acqua, ci buttiamo in mare».
Giovannino era stato ritrovato il 13 aprile – quindi il giorno successivo al naufragio – poco dopo le 20 sulla battigia di Porchile, al nono pettine. Semi assiderato, ma vivo, era stato trasportato al Santissima Annunziata di Sassari dove era rimasto ricoverato per un po’ di tempo. Dopo dieci giorni, tra ricerche mai interrotte, falsi allarmi e speranze, un sub nel litorale di Lu Bagnu aveva visto un corpo galleggiare. Era quello di Davide Calvia.
Da allora si è cercato di ricostruire ogni frammento di quella giornata. E, al di là delle indagini delle forze dell’ordine, l’unico a poter dare risposte esaustive era ovviamente il sopravvissuto: Pinna. Tre giorni dopo il naufragio, dal letto dell’ospedale, scriveva in una chat con un’amica: “Io so che mi è morto tra le braccia”, “è lui che mi ha detto abbracciami, è l’ultimo che ci diamo”, “e io che lo tiravo e gli sciacquavo la faccia”. Davide sarebbe morto davanti ai suoi occhi, stando a questo racconto.
Ma l’autopsia ha stabilito un’altra verità: Calvia non è infatti morto annegato ma è stato ucciso da un “politraumatismo contusivo” che avrebbe prodotto uno “shock traumatico acuto”. Letali sarebbero state le fratture al costato e al rachide cervicale. Ma sull’origine di questi traumi non c’è chiarezza.
«È stato un omicidio – è da sempre convinta Nadia Calvia – ed è palese che mio cugino menta». Ora non resta che attendere i prossimi passi della magistratura.