Paolo Mereghetti: «Berlinguer, buon lavoro di Segre. Vermiglio all’Oscar: la vedo dura»
Il numero uno dei critici è a Sassari per la rassegna “L’ombra della luce” con la proiezione di un film di Pedro Almodóvar
Quando al Cityplex Moderno di Sassari è cominciata la rassegna sulla storia del cinema “L’ombra della luce” le sale avevano da poco riaperto dopo la pandemia e l’idea di base del direttore artistico, il regista Antonello Grimaldi, era quella di contribuire a ricreare un pubblico grazie a un percorso di conoscenza di alcune pietre miliari della settima arte da intendere come una sorta di scuola per spettatori. Un concetto che trovava conferma nelle osservazioni contenute in un articolo di Paolo Mereghetti, il più autorevole dei critici italiani, autore del celebre dizionario “Il Mereghetti” che da oltre trent’anni (la prima edizione è del 1993) è la bibbia di ogni cinefilo.
Acquista così ancora più significato la sua presenza come ospite a Sassari, domani, per la proiezione alle 19 del nuovo titolo in programma della rassegna: “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” di Pedro Almodóvar. «Uno dei capolavori del regista spagnolo – sottolinea il critico – e rappresentativo dei suoi film così divertenti, colorati, pieni di personaggi strani».
Almodóvar è anche atteso prossimamente nelle sale con il suo ultimo lungometraggio “La stanza accanto” che ha vinto Venezia. Un Leone d’Oro meritato secondo lei?
«Assolutamente sì. Qualcuno a Venezia si è trovato un po’ spiazzato perché è un film molto diverso da quelli che faceva prima e a cui eravamo abituati, ma bisogna accettare che un regista modifichi in qualche modo lo stile. Non si deve essere condannati tutta la vita a rifare sempre lo stesso film. “La stanza accanto” è la dimostrazione che Almodóvar dopo aver fatto tanti capolavori sulla falsariga di “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” ha deciso di cambiare e anche cambiando è riuscito a fare un film bellissimo».
In questi giorni era alla Festa di Roma aperta dal film su Enrico Berlinguer “La grande ambizione” che a breve sarà nei cinema dopo l’anteprima organizzata in alcune città, a partire proprio da Sassari. Cosa ne pensa del lavoro diretto da Andrea Segre?
«Mi è piaciuto molto. Fare un film di finzione su Berlinguer non era cosa semplice e mi sembra raggiunga perfettamente l’obiettivo di restituire il percorso intellettuale e umano di un personaggio politico così amato. Il film riesce a sintetizzare tutto quello che è importante ricordare del periodo a cui fa riferimento, dal 1973 al 1978, e a essere così da limpido da evitare di cadere nella retorica. E poi c’è un lavoro straordinario come attore di Elio Germano che senza un trucco esagerato, oggi di moda, rende benissimo la figura e l’umanità di questo grandissimo politico».
A proposito di buoni film italiani, cosa ne pensa della scelta di “Vermiglio” di Maura Delpero come rappresentante del nostro cinema agli Oscar?
«Io ho qualche dubbio sul fatto che possa venire veramente apprezzato da quelli che votano per l’Oscar internazionale. Un film molto rigoroso dal punto di vista estetico, ma c’è il rischio che appaia in qualche modo gelato nella sua bellezza e faccia scattare poco l’empatia che lo spettatore statunitense cerca più di altre qualità».
Comunque sono film che aspettiamo di vedere schedati nella prossima edizione del Dizionario. Quando uscirà?
«Il prossimo anno. Il lavoro è sempre molto complicato, i film che escono oggi sono sempre di più, senza considerare le piattaforme che ne sfornano uno dietro l’altro».
C’è anche un lavoro di revisione delle schede degli anni precedenti?
«Certamente i giudizi possono cambiare. Ci sono film che all’uscita sembrano eccezionali e poi non reggono la prova del tempo, altrimenti invece che rivisti meritano un voto più alto».
Un film che ha rivalutato molto?
«Per esempio “La vita agra” di Carlo Lizzani. Una volta come valutazione aveva soltanto una stella e mezzo, rivedendolo ho scoperto un film straordinario per come riesce a mantenere la carica caustica del libro di Bianciardi da cui è tratto e per la libertà stilistica che dimostra come Lizzani avesse assimilato gli insegnamenti della Nouvelle Vague».