Attentati incendiari a Siniscola: la vittima era pronta a lasciare l’isola
Altre due auto andate a fuoco potrebbero essere attribuite a Venale e Tuveri
Siniscola Ci sono almeno altri due attentati incendiari, sui quali in queste ore gli inquirenti lavorano per scoprire se possano essere attribuiti agli attuali indagati che domani mattina affronteranno l’interrogatorio di garanzia: sono l’Alfa Mito e la Golf incendiate il 12 gennaio 2024 e il 16 maggio dello stesso anno a Siniscola. E sempre ai danni della stessa famiglia di allevatori, messa in ginocchio da continue intimidazioni. Per la Procura potrebbero far parte della catena di fuoco e intimidazioni attribuita a Dario Tuveri e Luca Venale, i due siniscolesi arrestati mercoledì mattina al termine di una indagine congiunta polizia carabinieri.
Sono difesi dagli avvocati Gianluca Sannio e Giuseppe Casu. L’inchiesta è tutt’altro che conclusa, dunque, ma fino a questo momento, in realtà, gli unici episodi attribuiti ai due siniscolesi restano quelli del 1 dicembre 2024 e del 25 febbraio di quest’anno. I quattro episodi sono comunque collegati in modo saldo, e al di là delle contestazioni, da un altro dato: la vittima. La stessa famiglia messa duramente alla prova da una sequenza di attentati prolungata nel tempo. Cominciata il 12 gennaio del 2024 e terminata soltanto qualche mese fa. Un numero di episodi, roghi e minacce indirette, che a un certo punto stava costringendo qualcuno a lasciare la Sardegna, come emerge dalle pieghe dall’inchiesta, il giorno dopo gli arresti. «Mi sono rotto i cogl ... – dice infatti, intercettato a sua insaputa, il 27enne prima vittima delle auto incendiate – non si risolve questa cosa, perché così non fa più, mì! Te lo sto dicendo, se no, io. Io prendo e me ne vado da Siniscola. Ora te lo sto dicendo: mi sono rotto il caz ...». In quei momenti di rabbia e frustrazione, il ragazzo parlava con la mamma, anch’essa vittima collaterale di un attentato incendiario, visto che la sua Fiat Punto il 25 febbraio di quest’anno era andata a fuoco quando le fiamme avevano squagliato una Bmw di famiglia parcheggiata vicino. Tant’è che la donna, in risposta al figlio esasperato per l’ennesima intimidazione, gli risponde: «Anche io sono a piedi. Ti rendi conto? Siamo senza macchine». Ma dolore e senso di impotenza a parte, i due, mamma e figlio, nella stessa conversazione si interrogano pure sui motivi che potrebbero avere spinto gli incendiari ad agire, e sui loro possibili nomi.
«Ma com’è possibile? – si chiede il figlio – io non me lo spiego questo». E poco dopo continua a incalzare la mamma: «È qualcosa che sapete voi, boh». E la mamma a quel punto replica: «Lo sai con chi ce l’abbiamo noi». E per gli inquirenti, soprattutto in questo passaggio, la donna si sarebbe tradita perché, a differenza di quanto aveva detto in modo ufficiale, avrebbe lasciato intendere che sapesse bene da dove fossero arrivati gli attentati: dall’esistenza di un dissidio profondo tra la sua famiglia e terze persone. Certo è che in quella fase tutti i componenti della famiglia di allevatori siniscolesi erano sfiniti: le loro auto a ripetizione venivano incendiate in modo sistematico, e non sembravano vedere scampo. Ma allo stesso tempo, evidentemente, agli inquirenti dicevano di non avere alcuna idea in merito ai possibili autori, molto probabilmente per la paura di ritorsioni. E stando a quanto emerge dall’inchiesta e dalle intercettazioni, lo stato di difficoltà della famiglia vittima sarebbe stato pure al centro di una sorta di sberleffo da parte dei loro presunti attentatori. In un dialogo captato da un cimice ambientale, infatti, secondo gli investigatori si sente Dario Tuveri che parla con un amico di Siniscola che il 22 aprile di quest’anno era andato a prenderlo all’uscita del carcere di Tempio dove era finito dopo l’arresto in flagrante al secondo tentativo di rapinare il Banco di Desio di Olbia.
Ebbene, in quella occasione, all’uscita del penitenziario, la voce che gli inquirenti attribuiscono a Tuveri parlando con l’amico e autista occasionale, di fatto irride la famiglia siniscolese vittima degli attentati: «Chissà chi glieli ha fatti ... – dice – ora devono usare un monopattino». Ma prima, riferendosi al padre della famiglia in questione, Tuveri dice: «Quello come mi hanno arrestato sarà stato contento». Ma al di là degli elementi e delle intercettazioni raccolte sinora, l’indagine va avanti anche perché sullo sfondo resta ancora da capire l’origine e gli autori di più di una trentina di altri episodi incendiari o intimidazioni che tra l’anno scorso e l’inizio di quest’anno avevano messo in ginocchio Siniscola e una parte della Baronia.