La Nuova Sardegna

Nuoro

Il processo

Paziente suicida in ospedale, il giudice assolve 2 infermieri


	L'ospedale San Francesco
L'ospedale San Francesco

Nuoro, lo sfogo della moglie dell’uomo: “mio marito è morto due volte”

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Nuoro Fine di un incubo per Marisa Orrù e Mario Ledda, i due infermieri dell’ospedale di Nuoro sotto processo per la morte di un paziente ricoverato nel reparto di Pschiatria. Ieri il giudice monocratico Claudia Falchi Delitala, accogliendo le argomentazioni della difesa, ha escluso ogni loro responsabilità circa la determinazione del drammatico evento, e li ha assolti entrambi con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. A sei anni dall’episodio e dopo tre di processo, in cui erano in gioco le loro vite, la sentenza ha segnato la fine di un lungo e doloroso periodo di incertezza e sofferenza. Era presente solo Mario Ledda. La collega, che con lui non era mai mancata a un’udienza, non era in aula. C’era la moglie del paziente, parte civile con l’avvocato Angelo Magliocchetti, che aveva chiamato in causa come responsabile civile l'Asl, rappresentata dall’avvocato Giovanni Pietro Lubinu. Con dignità e rispetto, prima di lasciare il palazzo di giustizia, la donna si è lasciata andare a uno sfogo amaro. «Mio marito oggi è morto due volte – ha detto –. In questo processo non è stato colpevolizzato nessun medico. Gli imputati erano due infermieri ma qui la responsabilità è dell’ospedale. Non c’è personale e dovevano essere garantiti i protocolli e la sorveglianza H 24, e questo non c’è stato. Giuseppe era stato ricoverato proprio per evitare che facesse quello che poi ha fatto». Il suo difensore ha annunciato ricorso in Appello. Tra 90 giorni verranno depositate le motivazioni. Era l’estate del 2019 quando l’uomo, ricoverato nel reparto di Psichiatria del San Francesco, sfuggendo al controllo dei sanitari, era riuscito a mettere fine alla sua esistenza nei bagni del reparto. Proprio della mancata sorveglianza del paziente erano stati accusati i due infermieri professionali, Ledda e Orrù, difesi dagli avvocati Carlo Careddu e Francesco Serrau, accusati di omicidio colposo perché, secondo la Procura non adottarono tutte le procedure previste in vigore dal 2016, per evitare il suicidio dell’uomo. Sui pazienti a rischio, ci sarebbe stato l’obbligo di sorveglianza continua da parte degli operatori sanitari presenti nel reparto. Obbligo che, stando all’accusa, non sarebbe stato rispettato dalle due figure professionali presenti all’epoca dei fatti. Motivo per cui il pm Andrea Ghironi a fine requisitoria, aveva chiesto la condanna a 1 anno e 6 mesi per Orrù e a 1 anno per Ledda. I difensori degli imputati, in disaccordo con l’impostazione accusatoria, partendo dallo stato di salute del paziente arrivato in ospedale a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio, avevano rimarcato quale fosse la situazione del reparto, da tempo in sofferenza per la mancanza di personale. «Quel giorno il direttore facente funzioni, Cesare Piras, alle 11.30 era stato chiamato proprio per cercare di calmare il paziente che era fuori controllo. Solo dopo essere riuscito a contenerlo con i farmaci era potuto andare via lasciando in servizio pomeridiano, un medico e due infermieri per 7 pazienti. E se il direttore aveva ritenuto di lasciare il reparto perché il problema era stato risolto – aveva detto l’avvocato Lubinu durante l’arringa – lo stesso avevano pensato gli operatori che poco dopo si erano trovati ad effettuare un altro ricovero». Ed è proprio in quel momento che il paziente, vedendo il personale occupato, era entrato nell’unico bagno del reparto aperto e si era tolto la vita con il lembo di un lenzuolo. Un gesto estremo, secondo la difesa non prevedibile. Sempre l’avvocato del responsabile civile, parlando della carenza organizzativa nei reparti che non dipendere dal personale che ci lavora, riferendosi al caso specifico, aveva sottolineato come fosse impossibile garantire la sorveglianza H24 con 2 infermieri per 7 persone ricoverate. Anche i legali Careddu e Serrau nel definire i propri assistiti «vittime di una malagestione della sanità» avevano rimarcato gli stessi concetti. «Abbiamo assistito al processo “dei servi” e al sovvertimento delle responsabilità penali – aveva detto il difensore di Ledda –. In un reparto è possibile prevedere una sorveglianza continua solo se si hanno a disposizione risorse umane. E in Psichiatria questo non era fattibile». Gli avvocati riprendendo le dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del dibattimento, avevano, inoltre, ricordato come fosse capitato che in situazioni di emergenza, per contenere pazienti particolarmente problematici, fosse stata fatta richiesta alla Direzione sanitaria di rinforzi esterni. «La situazione in quel reparto era drammatica con una frequente sovrapposizione temporale delle emergenze» avevano concluso i difensori ritenendo gli imputati non responsabili dei reati loro contestati.

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