Pietro Riccio cinquant’anni dopo, storia di un tragico sequestro
Alla Camera dei Deputati verrà commemorato l’avvocato oristanese mai tornato a casa dopo il rapimento
Oristano Mezzo secolo e la data dell’ultimo respiro che non è mai stata certa, perché questa fu una storia dove i giorni successivi al primo si mescolarono tra di loro senza troppe distinzioni e le certezze di oggi si limitano a tre momenti: il 14 novembre 1975, data del sequestro di persona; il 2 dicembre 1997, giorno del ritrovamento di resti umani in una grotta del canalone Sa Crabarissa nelle campagne di Austis; il 16 maggio 1998, momento del funerale. In mezzo ci fu un mare indistinto fatto di attese, speranze e rassegnazione sino al momento in cui dall’esame dna, ricavato da quel che restava di una vita umana a ventidue anni dall’ultima volta in cui familiari e amici lo videro, arrivò il verdetto: il corpo era quello di Pietro Riccio.
Avvocato oristanese di origine sedilese, punto di riferimento della Democrazia Cristiana, era stato sindaco di Oristano e da lì la sua carriera politica aveva preso una piega ancora più importante. Nel 1972 le urne decretarono il suo successo alle elezioni politiche portandolo sino alla Camera dei Deputati. È a Montecitorio che oggi, su proposta dell’onorevole Francesco Mura (Fratelli d’Italia), i parlamentari ricorderanno la sua figura durante una cerimonia che vedrà presenti anche l’attuale primo cittadino Massimiliano Sanna, il presidente della Provincia di Oristano, Paolo Pireddu, e il presidente dell’Ordine forense Enrico Meloni. «Sarà un momento doveroso di memoria istituzionale dedicato a una vicenda che ha profondamente segnato la nostra storia nazionale: la storia di un uomo onesto, di un lavoratore, di un cittadino vittima della violenza criminale – spiega Francesco Mura –. Ricordare Pietro Riccio, cinquant’anni dopo, significa ribadire con forza che lo Stato non dimentica le sue vittime e che ogni ferita inferta alla legalità è una ferita alla comunità intera. Sarà un’occasione per ripercorrere i fatti, onorarne la memoria e testimoniare la vicinanza delle istituzioni alla sua famiglia, che per decenni ha portato il peso di un dolore ingiusto e profondo. La commemorazione vuole essere non solo un tributo, ma anche un richiamo alla responsabilità collettiva: coltivare la memoria per costruire un Paese più sicuro, più giusto e più consapevole del valore della legalità e delle istituzioni».
È attualità per non dimenticare il tunnel oscuro da cui la Sardegna è uscita con grande fatica. Gli anni ’70 del secolo scorso erano quelli terribili dei sequestri di persona, rapimenti a scopo di estorsione che facevano di ogni persona benestante un bersaglio dei banditi in cerca di guadagni da favola. Per riavere a casa Pietro Riccio furono pagati invano 400 milioni di lire di riscatto, una somma che potrebbe aggirarsi attorno ai cinque milioni di euro di oggi. I malviventi intascarono la somma, ma non restituirono l’ostaggio. Forse l’avvocato era già morto, forse puntavano ancora più in alto e volevano altri soldi. Fatto sta che da quel momento tutto si trasformò in un’attesa vana sino a quando i familiari capirono che la bandiera della speranza poteva essere ammainata. Non avrebbero più rivisto il loro caro. Pietro Riccio fu rapito il 14 novembre del 1975 mentre era di rientro da un comizio elettorale nel Comune di Asuni. Era diretto verso la sua casa tra via Tharros e viale Diaz a Oristano, finì invece in una prigione da cui non sarebbe più uscito. La sentenza del tribunale disse che a compiere il sequestro furono Giovanni Santo Puddu, Costantino (Mannoi) Putzolu, entrambi allevatori di Sedilo condannati all’ergastolo, così come il massimo della pena fu inflitto all’orgolese Ananio Manca. A undici anni fu invece condannata l’austese Battistina Fadda che con loro collaborò.
I familiari non si sono mai rassegnati e più volte, anche pubblicamente, hanno detto che altre persone, mai coinvolte nel processo, si aggiravano sullo sfondo di questa torbida vicenda, uguale ad altre, troppe, con cui Pietro Riccio condivise la sorte. La provincia di Oristano pagò un prezzo altissimo nella stagione dei sequestri di persona. A casa non tornarono Puccio Carta, figlio dell’imprenditore Vincenzo Carta fondatore del Consorzio Industriale e Luigi Cesare Daga, figlio di un altro facoltoso imprenditore oristanese, entrambi rapiti nel 1974; don Efisio Carta, il “signore” degli stagni di Cabras portato via nel 1978; infine Vanna Licheri, la donna di Abbasanta vittima dei sequestratori nel maggio 1995.
