Stefania Craxi: «L’amore di mio padre per Caprera. Berlinguer? Era un conservatore»
La senatrice di Forza Italia a Sassari per l'inaugurazione della scuola di formazione politica
Sassari Dal rapporto speciale tra Bettino Craxi e la Sardegna al ruolo dell’Italia nei nuovi equilibri globali, passando per la pace, la difesa europea, il peso delle servitù militari nell’isola, la separazione delle carriere e la necessità di formare una nuova classe dirigente. Stefania Craxi, presidente della Commissione Esteri e Difesa del Senato, ieri a Sassari per la “prima” della scuola di formazione politica di Forza Italia, ripercorre alcuni passaggi centrali della storia politica del padre (che chiama sempre Craxi, perché per lei è una questione di storia e non di famiglia) e li intreccia con le sfide dell’attualità: dalla centralità del Mediterraneo al rapporto tra finanza e politica, fino alle nuove tensioni internazionali. Un confronto che tocca radici personali – Caprera, Garibaldi, il socialismo umanitario – e temi strategici come sicurezza, immigrazione, Europa.
Suo padre aveva un legame profondo con la Sardegna.
«Craxi amava la Sardegna perché aveva dato asilo a Garibaldi, la sua grande ispirazione. Garibaldi era il combattente per la libertà, ma anche l’iniziatore di quel socialismo umanitario cui mio padre si richiamava. Per lui Caprera era un luogo dell’anima: ogni 2 giugno ci andava, e per un periodo l’ho fatto anche io. Mia figlia si chiama Anita».
I rapporti con Berlinguer invece non erano buoni.
«Mio padre non ha mai capito davvero l’avversione di Berlinguer nei suoi confronti. Lui, che aveva molti amici nel Pci, sentiva con quella parte politica una “cuginanza”. Non voleva distruggere i comunisti, voleva portarli verso il socialismo. Per questo non ha mai usato parole di astio personali. Ogni tanto diceva: “Ma Enrico… portatelo un po’ a Milano che capisce come vive il mondo”».
Lo considerava un conservatore?
«Sì. E Craxi invece era un innovatore, guardava avanti: la modernizzazione del Paese, la televisione a colori, le infrastrutture, l’apertura internazionale. Berlinguer aveva una visione più rigida, più legata a un impianto ideologico che guardava al passato. In questo senso era conservatore».
Lei parla spesso di Mediterraneo: è ancora decisivo?
«È l’unico scenario in cui l’Italia può rivendicare credibilmente un ruolo. Craxi lo aveva capito prima di tutti. E vale ancora oggi: identità, interessi strategici, equilibri geopolitici passano da qui».
In tempi di guerra, si può ancora parlare di pace?
«La pace deve essere l’obiettivo, ma non esiste una pace disarmata. Abbiamo vissuto 80 anni di stabilità grazie alla deterrenza nucleare. E nei prossimi 80 anni conterà ancora la deterrenza che costruirà l’intelligenza artificiale».
La Sardegna paga un prezzo altissimo in termini di servitù militari.
«Il dialogo con le comunità locali è indispensabile. Ma la difesa è un sistema complesso: innovazione, piccole imprese, cybersecurity, sicurezza alimentare e sanitaria. La Sardegna è strategica, e dall’indotto possono arrivare ricadute positive se si lavora bene».
Che ruolo ha l’Europa?
«Serve una difesa europea, non perché lo chiede Trump, ma per difendere il nostro stile di vita e influenzare la Nato. La storia non è finita come ci volevano far credere: i popoli e le nazioni esistono, i confini esistono. A non avere confini, finora, sono stati solo i soldi».
La separazione delle carriere avrebbe cambiato la storia di suo padre?
«La riforma della giustizia è una garanzia per i cittadini e lo sarebbe stata anche per lui. Ma io penso che ciò che accadde allora più che un problema con la magistratura fu uno squilibrio di poteri, un conflitto tra finanza e politica».
Sigonella: fu davvero uno scontro con gli Stati Uniti?
«No. Reagan capì benissimo la posizione italiana. Tant’è che dopo pochi mesi arrivò l’appoggio che permise all’Italia di entrare nel G7. Lo scontro non era con l’America, ma con ambienti finanziari potentissimi».
Qual è oggi la posizione dell’Italia in Medio Oriente?
«Abbiamo fatto tutto ciò che era possibile fare. Siamo stati tra i Paesi europei più attivi nell’aiuto ai palestinesi, mantenendo insieme rapporti con Israele. Non c’è pace senza due popoli in due Stati».
La Russia?
«Non abbiamo visto per tempo il disegno imperialista della Russia. E l’idea che Putin non si fermerà all'Ucraina comincia a circolare nelle cancellerie europee».
Sull’immigrazione?
«Nel 2100 gli italiani saranno 27 milioni: abbiamo bisogno di immigrazione. Ma serve togliere il tema dalle tifoserie, combattere i trafficanti, lavorare con i Paesi d’origine, regolare i flussi e costruire una vera integrazione».
Forza Italia può oggi rappresentare uno spazio liberal-sociale?
«Forza Italia è nata fondendo i tre grandi umanesimi: cristiano, socialista e liberale. Quel patrimonio va aggiornato ma non disperso. I partiti devono tornare a formare la classe dirigente. Oggi sono spesso comitati elettorali: bisogna trasformarli in luoghi di formazione permanente».
È questo il senso della Scuola di formazione che apre a Sassari?
«Esattamente. Abbiamo bisogno di giovani sardi preparati, capaci di contribuire alla crescita dell’isola, del Paese e di Forza Italia. Senza formazione non c’è classe dirigente e senza classe dirigente non c’è politica, non c’è futuro».
