«Non chiamatelo incidente, il nostro Pietro è stato ucciso»
Lo sfogo dei familiari del carabiniere di Montresta morto un anno fa: «Sentenza ingiusta. Chi lo ha travolto con l’auto ha patteggiato 2 anni e 8 mesi e riavrà anche la patente»
Sassari È un dolore che scava l’anima: la perdita improvvisa di un proprio caro che muore in macchina, mentre va al lavoro, con la divisa da carabiniere indossata come una seconda pelle, travolto da un’auto impazzita guidata da una persona ubriaca. Uno che invade la corsia a 125 chilometri orari, di notte, poco prima di una semicurva. «Quello che è successo a Pietro – dice Mauro Mastino, fratello del carabiniere di 55 anni originario di Montresta morto l’anno scorso nella strada tra Olmedo e Alghero – non è stato un incidente. È stato un omicidio stradale».
Tanto basta alla famiglia per considerare il patteggiamento della pena a due anni e otto mesi – concesso due giorni fa all’imputato – come «una terribile ingiustizia. Che ci fa provare ancora più dolore e rabbia».
Quella di giovedì mattina era una telefonata attesa nella casa di Montresta dove vivono l’anziana madre e il fratello di Pietro Mastino. La chiamata è arrivata, la voce era quella dell’avvocato Stefano Carboni che comunicava la sentenza del giudice Giampaolo Piana. «Davide Giovanni Sancis ha patteggiato due anni e 8 mesi, pena subordinata allo svolgimento di lavori di pubblica utilità. Gli sono stati ritirati il passaporto e la carta di identità valida per l’espatrio».
Ma non la patente di guida. La prefettura l’anno scorso gli ha notificato il provvedimento di sospensione per tre anni. Questo significa che nel 2027 il 35enne sassarese potrà tornare a guidare. «Ho servito per vent’anni le istituzioni come politico e anche come carabiniere. Ho rispetto totale dei ruoli di ciascuno: dei giudici, dei magistrati, degli avvocati – dice Mauro con la voce spezzata da lacrime e amarezza – Ma io e la mia famiglia abbiamo tutto il diritto di non condividere questa sentenza. La rispettiamo ma non negateci di urlare al mondo intero la nostra delusione».
Mauro Mastino – 43 anni e un passato da vicesindaco di Montresta, assessore della Comunità montana e un periodo da militare dell’Arma – spiega le ragioni del suo sdegno. «Le aggravanti a carico di Sancis erano scritte nero su bianco nel fascicolo del pubblico ministero. Al momento dell’impatto aveva un tasso alcolemico altissimo, dalle analisi sono emerse tracce di cocaina, ha commesso una serie di violazioni al codice della strada: invasione di corsia, velocità elevata in orario notturno, in prossimità di una semicurva. Ebbene, nonostante questo quadro così grave, gli si concede di patteggiare una pena di 2 anni e 8 mesi. Come posso io spiegare a mia madre tutto questo? Che una persona che ha travolto e ucciso suo figlio di 55 anni perché si è messo al volante in condizioni disperate, può beneficiare di tutte le garanzie previste da un ordinamento giudiziario che, è evidente, presenta una falla mostruosa. Perché lo Stato ti consente di concordare la pena e, cosa ancora più grave, ti restituisce la patente dopo tre anni. È inaccettabile moralmente, eticamente, sotto tutti i punti di vista».
Si chiede, il fratello del militare, che messaggio si dia all’opinione pubblica con una sentenza di questo tipo. «Impunità è la risposta. Quell’uomo non ha fatto un giorno di custodia cautelare, non uno ai domiciliari e dopo tre anni riavrà anche la patente. Conosco il sistema legislativo e so benissimo che il problema non sono i magistrati, né i giudici e neppure gli avvocati. Il problema è a monte, è la norma. Perché una volta che viene accertato che una persona cagiona la morte di un’altra non può esserle data l’opportunità di patteggiare. Va a processo e si assume tutte le responsabilità del caso, come succede in altri reati gravi. Non è colpa dei giudici, che applicano le leggi, né dei magistrati che svolgono le indagini o degli avvocati che difendono i propri assistiti. Il nostro, Stefano Carboni, ha fatto tanto e lo ringraziamo. Si tratta, piuttosto, di volontà politica, di fare il possibile per cambiare la norma. Per evitare che un domani altre famiglie possano vivere per due volte un dolore lacerante. Come è successo a noi: la prima quando ci hanno strappato Pietro, la seconda quando non gli hanno reso giustizia».
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