La Nuova Sardegna

L’intervista

Daniel Lumera: «Per anni mi sono sentito fallito, ora insegno il benessere della vita»

di Paolo Ardovino
Daniel Lumera pseudonimo di Andrea Pinna
Daniel Lumera pseudonimo di Andrea Pinna

L’esperto di meditazione: «Smettiamola di anestetizzarci con il lavoro e guardiamoci dentro»

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Un Re Mida o un pifferaio magico buono, fate voi. Fatto sta che ovunque c’è lui, arrivano (almeno) centinaia di persone. Folle desiderose di sentirsi dire cose che forse in fondo sanno già ma che nel caos delle giornate tutte uguali e tutte di fretta dimenticano. Daniel Lumera, al secolo Andrea Pinna, nato ad Alghero, cresciuto a Sassari, è biologo naturalista, scrittore, docente e tra i massimi esperti in Italia e all’estero di meditazione. Ha fondato un movimento, l’international kindness movement, «apolitico e non religioso», e dice di praticare la gentilezza e il perdono. Torna a Sassari venerdì 19 dicembre, all’auditorium di via Monte Grappa, per presentare il suo ultimo libro, “Scegli la tua vita” (Solferino).

Perché non siamo in grado di vivere in maniera autentica?

«Perché viviamo in un sistema che ci spinge all’omologazione, impariamo a essere efficienti, ricoprire ruoli, soddisfare aspettative familiari ed esigenze sociali. Così non c’è un tempo dove riscoprire i propri talenti e la propria vocazione. E spesso cresciamo con la sensazione di essere “troppo” qualcosa, sbagliati, il sistema educativo ci spinge verso imbuti e vite che non ci appartengono».

E che società ne viene fuori?

«Una società dell’urgenza, della iper performance».

Colapesce e Dimartino cantavano: “Ma io lavoro per non stare con te”. Siamo anche noi a volere il lavoro e la performance per non curarci dei sentimenti?

«Il lavoro è un anestetico rispetto a spazi di ascolto esistenziali che aprono voragini di noi stessi. Ci riempiamo la vita di cose da fare e da avere e di apparenze. Il lavoro diventa un fattore identitario: descriviamo ciò che siamo attraverso ciò che facciamo».

Perdiamo di vista chi siamo davvero?

«Questo attaccamento al lavoro è il motivo per cui tante persone vanno in pensione e subito dopo manifestano malattie e tumori. Uno dei più grandi pentimenti di chi sta per morire è quello di non aver vissuto una vita che gli appartenesse davvero».

Il problema di fondo è saper identificare le nostre priorità da quelle che ci indicano gli altri?

«Ci hanno insegnato ad annullarci. Il contesto ci spinge a non sentire i bioritmi naturali e le vere necessità di rigenerazione, cioè fare cose che ci danno davvero gioia. C’è una parola giapponese, Ikigai, l’hai mai sentita?»

No, mi dica.

«Indica il punto di convergenza tra la tua passione, tra ciò che ti viene bene fare, tra ciò che è utile per gli altri e il senso di missione: ikigai. Pochissimi fortunati riescono a farle coincidere tutte».

Lei sembra realizzato nella strada che ha intrapreso, quando ha sentito la vocazione?

«A 19 anni, quando provai a meditare. Ho vissuto un’esperienza interiore profonda e ho voluto dedicare la vita allo studio dell’interiorità e dei percorsi di consapevolezza verso il benessere della vita. La ricerca di senso è una spinta ancora maggiore nella ricerca del piacere. Ma è stato difficilissimo».

Quanto?

«Per anni mi sono sentito giudicato, isolato, non capito».

Non veniva preso sul serio?

«Be’ nel 1993 ho iniziato a meditare a Sassari, in Sardegna, un ambiente non proprio facile, estraneo a una cosa del genere, dove c’erano dei preconcetti molto forti. Non mi sarei mai immaginato di arrivare a fare una lezione ad Harvard, è successo l’anno scorso. Dalla famiglia ho avuto grande sostegno, mi ha permesso di fare ciò che sentivo nonostante dei pregiudizi altissimi attorno. Ho passato momenti di crisi, anche economiche, e tante volte mi sono sentito un fallito e uno che perdeva tempo».

Chi si avvicina a lei e al suo movimento?

«Prima solo chi era in crisi, dai 40 anni in su. Negli ultimi anni tanti giovanissimi in cerca di se stessi, di una vita che abbia valore».

Quando ha capito che stava arrivando il successo?

«Attorno al 2014, quando ho iniziato a scrivere per Mondadori e il pubblico alle presentazioni cresceva. L’esplosione è stata nel 2019 e da poco ho visto la presentazione con più persone: a Bassano del Grappa sono venuti in più 2.500 persone, come un concerto. Ora collaboriamo con governi, con la rete cantonale ospedaliera della Svizzera, con le scuole, facciamo progetti nelle carceri, abbiamo sedi in Sudamerica».

Ha aperto anche un centro nell’isola, si chiama “L’incontro”. A cosa serve?

«Sì, a Telti. Abbiamo deciso di prendere l’ex comunità di Don Gelmini, era un centro per tossicodipendenti dismesso. È un luogo culturale di rigenerazione, facciamo incontri, campi per bambini, ritiri di meditazione di alcuni giorni. Uniamo i linguaggi di arte, scienza, spiritualità ed economia consapevole. Sono venuti personaggi come Franco Berrino, don Francesco Fiorillo, che è l’abate del monastero San Magno, don Ettore Cannavera».

Ancora oggi comunque c’è più di qualche scetticismo sulla meditazione, si pensa sia solo chiudere gli occhi e incrociare le gambe.

«Perché bisogna stare attenti agli insegnanti improvvisati che dilagano, e assicurarsi di affidarsi a una persona seria che non fa operazioni di marketing. Seconda cosa: in realtà ci sono solidissime basi scientifiche che dimostrano che la meditazione è capace di abbassare i livelli di cortisolo, ansia e stress in pochissimo tempo, e la letteratura scientifica a riguardo è ampia».

Le dà fastidio essere indicato come uno dei tanti guru che si vedono online?

«Mi dà fastidio, per la tradizione indovedica guru vuol dire un mentore ma poi è arrivata tanta gente che ha mandato all’aria questo. Il rapporto con una persona che conosce la materia è fondamentale, se devo andare al Supramonte ho bisogno di una guida che mi orienti. Il mentore deve essere però disinteressato, e ci dev’essere grande indipendenza. Io cerco di essere coerente, mi muove il servizio, non la convenienza».

Quanto vive la Sardegna?

«Sono totalmente sardopatico, ho bisogno spesso di tornare. Cerchiamo di aggiornarla e metterla al passo ma la sua bellezza è che è fuori dal tempo, ha un ritmo arcaico. I miei maestri dicevano: ci vuole un buon karma per nascere in Sardegna. Avevano ragione».

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