Il Supramonte visto dai “Cuiles”, l’ultimo avamposto dei pastori
Da Dorgali a Baunei, da Oliena a Orgosolo e Urzulei: un libro di Leo Fancello censisce 263 ovili e raccoglie le testimonianze dei protagonisti
Dorgali «La domenica, le famiglie dei pastori si riunivano in un pinnettu per giocare a tombola o a carte, seduti sopra dei sacchi riempiti d’erba». Così raccontava tzia Michela Mandoi, dorgalese classe 1932, scomparsa pochi mesi fa. Raccontava, lucida e felice, di quei pochi momenti di svago, di quell’unico giorno settimanale consacrato al riposo, anche se poi si lavorava comunque, perché negli ovili, in fondo, c’è sempre qualcosa da fare, persino di domenica. «Nel cuile – aggiunge tziu Nanneddu Fronteddu Berritta, pure lui di Dorgali, dov’è nato del 1933 – producevamo formaggi e salumi che vendevamo in paese a negozianti ed albergatori. I maiali venivano comprati da pastori di Desulo. Generalmente, secondo l’abbondanza di pascolo, le capre producevano tra i 50 e i 70 litri di latte al giorno, dai quali ricavavamo tre, quattro formaggi».
Bastano queste poche pennellate, questi pochi passaggi rubati al nuovo libro di Leo Fancello, “Cuiles. Storie e tradizioni del Supramonte”, appena pubblicato dalla Edes di Sassari, per immergersi in un mondo che ormai sta scomparendo, vinto dai tempi, dimenticato dai social eppure ancora benedetto da madre natura, regina indiscussa nelle cime più impervie di Baunei, Dorgali, Oliena, Orgosolo e Urzulei.
Il regno dei cuiles: «Le antiche dimore di chi in quei monti ha duramente lavorato per lunghi anni, allevando capre e maiali» spiega Fancello. Professione geometra, speleologo, guida ambientale e turistica, profondo conoscitore di ogni sentiero e anfratto del Supramonte. È qui, in questi labirinti carsici che dalle zone interne guardano al Mar Tirreno, che Leo Fancello ha censito ben 263 insediamenti umani, dove «svettano le superbe capanne di abitazione, i pinnettos, che ricordano da vicino le capanne nuragiche» spiega l’autore di questo libro frutto di oltre trent’anni di escursioni, incontri, interviste, rilievi, studi, fotografie. Oggi sono soltanto due, forse tre le famiglie che ancora vivono e lavorano nei cuiles: a Buchi Arta, ai confini tra il cielo e il mare, tra i ginepri di una pietraia che si affaccia su Cala Luna e una falesia che squarcia l’orizzonte infinito.
Di ogni cuile individuato, Fancello presenta una scheda tecnica, ne descrive le condizioni attuali, misura la quota altimetrica, segnala la presenza o meno di recinti per animali o di siti archeologici. Fancello va oltre: accanto alle tecniche di costruzione e alle caratteristiche architettoniche, differenti da paese a paese, da zona a zona, raccoglie le testimonianze dirette, i racconti in prima persona dei protagonisti e delle protagoniste che hanno vissuto i cuiles di un tempo: pastori, caprari soprattutto. Storia e storie dei Supramontes. «Ciascuna secondo la propria singolare identità ma nel quadro antropologico della comunitaria cultura pastorale» evidenzia Bachisio Bandinu nella presentazione del saggio, una guida sicura nell’ambiente naturale di questa porzione di Sardegna, un viaggio nel passato che porta dritto dritto al futuro, dalla conformazione geologica all’etnografia, dalla preistoria alla tecnologia, dai metodi di allevamento alla tradizione orale. Persino alla poesia. Leo Fancello ci aggiunge anche la narrazione: uno stile tutto suo, che intreccia parole e immagini, suggerimenti e constatazioni, dati analitici e generali, documenti, sogni, speranze e cruda realtà.
Perché se oggi i cuiles sono tappe di un percorso alla scoperta delle meraviglie del Supramonte, non bisogna mai dimenticare che quelle stesse capanne sono state croce e delizia di generazioni di uomini e donne che hanno dovuto lavorare sodo per tenere in piedi la famiglia. Un mondo raso al suolo, letteralmente, dall’arrivo della petrolchimica, devastante per le campagne del Nuorese. Molto più del banditismo, la piaga tanto temuto allora, quando era facile negli ovili fare a tu per tu con chi era alla macchia. L’ospitalità era sacra, non poteva essere negata a nessuno, come in mare aperto non può essere negata una ciambella galleggiante a chi rischia di affogare. «Questo libro non rappresenta solo il ricordo di un tempo passato che non si ripeterà mai più – chiude Angelo Capula nella postfazione del volume –. Non è soltanto il racconto di vite vissute ma è un messaggio per l’attuale generazione e quelle future. In questa prospettiva il Supramonte, con i suoi cuiles carichi di storia e storie millenarie, è un bene unico, di inestimabile valore, un’importante opportunità e anche una sfida che gli amministratori pubblici devono saper affrontare». «È stata una corsa contro il tempo e, probabilmente – saluta Leo Fancello –, siamo arrivati un po’ tardi. Sono rimasti pochi uomini e donne in grado di raccontare quel mondo, e molti cuiles, fra non molti anni, saranno ridotti ad informi cumuli di macerie». La speranza ultima è che questo patrimonio non vada mai perso.
Il glossario Dalla A di “ae”, che in italiano significa “aquila reale”, e di “ae trina” che sta per “aquila del Bonelli”, alla Z di “zumpeddu”, “sgabello basso, di sughero, legno o ferula”. Leo Fancello ha pensato bene di inserire nel suo libro “Cuiles. Storie e tradizioni del Supramonte” anche un piccolo “Glossario” che raccoglie i vocaboli sardi dorgalesi che ruotano attorno al mondo degli ovili. Poche pagine utilissime per i lettori che si avvicinano per la prima volta a questo spaccato di Sardegna. Intanto, una precisazione: “cuile”, singolare di “cuiles”, viene detto anche “coile”, “coiles”. Indica l’ovile, l’insediamento pastorale. “Cuile ‘e monte” è l’ovile di montagna. “Cuile ‘e settile” è l’ovile d’altipiano. “Cuile d’eranu” è l’ovile utilizzato dalla primavera all’autunno. “Cuile pesau” dae terra è la capanna con le travi che partono dal suolo. “Cuile a muridina” è la capanna con le travi che poggiano sul muro perimetrale. Poi ci sono i “culuminzos de cuile”: le travi principali della capanna di abitazione. Il riparo per i capretti prende il nome di “edile” mentre la capra che ha un’età compresa tra i tre mesi e un anno si chiama “gargazza”. “Su camu” è il morso di legno per svezzare i capretti. E via discorrendo, passando per “mandra” o “corte”, il recinto per gli animali, per “secotiana”, capra che figlia da febbraio in poi, fino a “taschedda”, piccolo zaino di pelle, e “teracu ‘e pè”, servo pastore con gregge proprio. Scorrere l’ordine alfabetico del glossario è un modo per ricapitolare quanto svelato da questo “Cuiles”, nuovissima fatica letteraria di Leo Fancello, già autore di altre pubblicazioni sul tema andate esaurite da tempo. Sua la guida pratica ai sentieri dei Supramontes “Trekking dei cuiles”, ormai introvabile. (luciano piras)
