La Nuova Sardegna

L’intervista

Sempre più cannabis, Patronaggio: «Solo il super drone scova le piantagioni»

di Luigi Soriga
Sempre più cannabis, Patronaggio: «Solo il super drone scova le piantagioni»

Il procuratore: «Zone inaccessibili, ormai la malavita si sconfigge con la tecnologia»

05 ottobre 2024
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Sassari Prima le piantagioni di Fonni, Mamoiada e Sarule. Poi la coltivazione di Benetutti. Praterie di cannabis, mimetizzate negli anfratti della Sardegna, scoperte nell’arco di una settimana dalle forze dell’ordine. Non è una coincidenza e né chissà quale mistero: gli avvistamenti sono più semplicemente legati a una fase vegetativa. Più la pianta è grande, più la foglia è sviluppata, e più sarà facile per il drone avvistarla dall’alto. Anche perché queste piantagioni si mostrano agli sguardi indiscreti solo dal cielo, perché da terra restano acquattate, silenziose e invisibili.

Il procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio, assieme a una task force composta da polizia, carabinieri, guardia di finanza, corpo forestale e tutte le forze in grado di scandagliare il territorio, ha affinato le tecniche di indagine.

«La Sardegna è il paradiso della marijuana. Come getti un seme per terra, la piantina germoglia in un attimo. Non a caso è una delle regioni d’Italia dove la produzione è più elevata. Questo ci ha costretti ad alzare l’asticella, con un notevole salto di qualità investigativo. La guardia di finanza ha in dotazione una serie di droni capaci di zoommare con una risoluzione tale da inquadrare una singola piantina. I recenti sequestri sono stati possibili proprio grazie a questa strumentazione. E più le ricerche si affineranno e si intensificheranno, e più spunteranno nuove coltivazioni. Perché la Sardegna ne è piena».

Come mai è il drone a fare la differenza? Le indagini più tradizionali, fatte di perlustrazione del territorio, di soffiate, di intercettazioni non sono più così efficaci?

«Le piantagioni ormai sono localizzate in zone davvero nascoste e inaccessibili. Dietro ci sono organizzazioni malavitose ben radicate, che conoscono molto bene il proprio territorio. C’è una rete fatta di sentinelle che protegge la coltivazione, non ci si può arrivare per caso. E chi sa qualcosa se lo tiene per sé. Le segnalazioni sono pressoché nulle, a meno che non provengano da un concorrente sul mercato, o da qualcuno che ha subito uno sgarro. Magari un proprietario terriero che ha ceduto i suoi ettari ma poi non è stato adeguatamente pagato».

In zone così impervie sarà complicato allestire una piantagione che necessita di molta acqua e di una certa cura.

«Gli investimenti sono importanti, ma niente in confronto alla resa potenziale di questo business. Occorre innanzitutto molta acqua, occorre blindarla con un recinto elettrificato per proteggerla dagli animali selvatici e dagli estranei. Ci sono dispositivi di videosorveglianza. Occorre un sistema automatizzato che gestisca da solo tutte le pratiche agronomiche. Insomma, non si improvvisa una simile attività e una simile dotazione tecnologica. Dietro c’è una solida organizzazione criminale».

Le pene sono sufficientemente severe per chi viene scoperto?

«Sì, in linea di massima sono adeguate. Il problema è che nella stragrande maggioranza dei casi, chi finisce nella rete dei controlli è l’ultimo anello della catena. Cioè l’omino incaricato di custodire la piantagione, messo lì giorno e notte a fare la guardia e ad avvertire gli altri quando qualcosa si inceppa. Ma i vertici dell’organizzazione, purtroppo, stanno ben lontani dalle piantine di cannabis e il più delle volte la fanno franca».

Se la criminalità sarda ha scelto la marijuana, significa che i proventi sono notevoli. La maxi operazione di Sarule, Mamoiada e Fonni ha sottratto al mercato nero 1500 chili di merce per un valore di 15 milioni di euro.

«È vero, i margini di guadagno sono notevoli. Però è un business anche complicato da gestire, che richiede numero passaggi. Oltre alla coltivazione, c’è la trasformazione, il trasporto, la vendita, e il reinvestimento. Anche questi sono step sui quali si concentrano le nostre indagini e i nostri controlli, e ci consentono di tracciare la filiera della marijuana. Purtroppo sappiamo che una grossa fetta dei proventi delle droghe leggere viene reinvestito nell’acquisto di quelle pesanti. Il motivo è semplice: la marijuana ha origine da una grande massa di materia prima, e produce guadagni contenuti. Le droghe più pesanti sono più piccole, e molto più remunerative».

Che fine fa tutto questo quantitativo di marijuana?

«Anche le procedure di smaltimento sono lunghe e dispendiose. Si parla di sradicamento, stoccaggio e infine distruzione. Quando hai a che fare con tonnellate di materiale, come è avvenuto negli ultimi sequestri, non sono operazioni così immediate».

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