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Sassari

Il terremoto

I tre ex Cgil: «Fummo cacciati dal sindacato perché contrari alla chimica verde»

di Davide Pinna
I tre ex Cgil: «Fummo cacciati dal sindacato perché contrari alla chimica verde»

Parlano i tre dirigenti espulsi 7 anni fa da sindacato e reintegrati dal tribunale

05 ottobre 2024
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Sassari «Siamo rimasti in silenzio per sette anni, continuando a rispettare le regole di un sindacato che ci aveva tradito. Ma ora, finalmente, abbiamo ottenuto giustizia e vogliamo raccontare la nostra verità». La voce di Salvatore Frulio, Giovanni Piras e Antonio Rudas è incrinata da una mescolanza di emozioni: rabbia e riscatto, su tutte. La loro storia personale si intreccia con quella collettiva, attraversa la grande e ultima crisi del petrolchimico di Porto Torres, che interruppe il sogno industriale di tutto il Nord Ovest e culmina nel 2017, quando i tre dirigenti sindacali vennero espulsi dalla Cgil e Rudas, che ne era anche dipendente, fu licenziato.

Dopo una lunga battaglia giudiziaria, che ha visto i tre, assistiti dagli avvocati Vittorio Perria e Cesare Boschi, impegnati anche direttamente contro il segretario generale Maurizio Landini, tre sentenze dei tribunali di Sassari e Roma hanno chiuso la vicenda, ordinando il reintegro nel sindacato e annullando il licenziamento di Rudas.

I tre ieri hanno incontrato amici e giornalisti in una conferenza stampa: «Avevamo invitato anche Landini, oltre che Francesca Nurra, Massimiliano Muretti e Gavino Doppiu, che hanno rappresentato in corte d’appello la Camera del Lavoro di Sassari, per garantire loro quel contraddittorio che non venne concesso a noi. Ma nessuno ha risposto».

«Tutto cominciò nel 2011, quando esplose la crisi del petrolchimico a Porto Torres» racconta Frulio. «Non volevamo seguire il sistema Camusso e la sua timida opposizione a Jobs act e legge Fornero ed entrammo in rotta anche con i vertici nazionali del sindacato, che accettarono la dismissione del petrolchimico in cambio di una contropartita che sapevamo essere inesistente: la chimica verde che non è mai decollata» sintetizza Piras. È Rudas a entrare nei dettagli: «Non eravamo ingenui, sapevamo che la chimica era morta, ma chiedevamo contropartite serie, non la bugia della chimica verde. Mentre noi scioperavamo insieme ai lavoratori, i dirigenti andavano a firmare gli accordi con Eni per chiudere lo stabilimento. È in quel momento che siamo diventati dei nemici, ma non potevamo tradire la nostra gente». Il conflitto proseguì strisciante per anni e riesplose nel 2015 dopo che Rudas, segretario provinciale uscente, cedette il posto a Francesca Nurra. Nel 2016 Piras e Frulio, componenti della segreteria, tentarono di sfiduciare Nurra, ma l’operazione non riuscì. E l’anno dopo arrivò la delibera di espulsione per i tre.

«Le nostre teste sono state fatte saltare senza che avessimo la possibilità di difenderci. Arrivarono gli ispettori per interrogarci e quando gli chiedemmo quali erano i capi di accusa, ci dissero che non li conoscevano neanche loro. Noi li scoprimmo solo leggendo la delibera di espulsione» raccontano. «È stato un processo degno della Santa Inquisizione – è il commento dell’avvocato Perria -, il tribunale non è nemmeno entrato nel merito dei fatti contestati, limitandosi a sottolineare come, nonostante uno statuto garantista, ai tre non sia stata data alcuna possibilità di difendersi».

«Per giustificare la mia espulsione, arrivarono ad accusarmi di mobbing – spiega Rudas -. Peccato che quella accusa fosse legata a uno scontro risalente al 1999 con l’allora direttore di un ente di cui avevo scoperto le magagne. All’epoca la Cgil mi diede quasi una medaglia, poi utilizzò quella vicenda per farmi fuori». I tre attaccano il sindacato: «Si comporta come i padroni della peggior specie, licenzia utilizzando le scorciatoie consentite dallo stesso Jobs act contro cui raccolgono le firme, mettono in cassa integrazione i dipendenti senza nemmeno fornire della alternative. Purtroppo per la Cgil, che è diventata semplicemente un fornitore di servizi, non c’è futuro. Ma i lavoratori continueranno ad aver bisogno di essere tutelati». La loro battaglia passa per la realizzazione di un sito web, www.cglicenziamenti.it, e la creazione di una piattaforma pensata per raccogliere e raccontare storie simili alla loro, “Come gestire i licenziamenti”. L’acronimo è uno sberleffo: Cgl. «Siamo stati sommersi di reazioni, anche da parte di tanti compagni e dirigenti del sindacato. La nostra però non è vendetta, ma una battaglia per la verità».

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