La Nuova Sardegna

L’intervista

Giorgio Locatelli, Masterchef: «Tonno, bottarga e casu marzu, la Sardegna a tavola è un’isola speciale»

di Roberto Sanna
Giorgio Locatelli, Masterchef: «Tonno, bottarga e casu marzu, la Sardegna a tavola è un’isola speciale»

A Fun–Go la prima volta in Sardegna della stella Michelin: «La vostra forza sono i cuochi che vanno all’estero ed esportano la tradizione»

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C’è sempre una prima volta. Anche se può sembrare strano che uno degli chef italiani più famosi al mondo non siamo mai stati in Sardegna, a Giorgio Locatelli non era mai capitato: «Sono venuto da voi solo per girare una puntata speciale di Masterchef a Cagliari, poi non so per quale motivo l’unica isola che ho visitato è stata la Sicilia. Mi trascinava il mio executive chef, che è originario di quelle parti, mi ha portato in giro anche a conoscere tanti produttori di vino». Il momento però è arrivato: sabato 8 e domenica 9 dicembre lo chef stellato giudice di Masterchef sarà uno dei nomi di punta di Fun–Go, il festival dedicato ai funghi in programma Iglesias.

Sarà la sua prima volta in Sardegna, che cosa si aspetta?

«Sicuramente di mangiare bene e credo proprio che andrò via molto soddisfatto. E sono felice di poter visitare finalmente una terra di grande cultura e una storia millenaria come la vostra. Non vengo... a digiuno, ho avuto modo di conoscere la cucina sarda negli anni scorsi grazie all’esperienza che ho fatto a Londra quando conducevo la Locanda Locatelli. Dovete sapere che quando selezionavo il personale e sceglievo i curriculum, la mia idea era scegliere sempre collaboratori provenienti da diverse regioni italiane e chiaramente c’era sempre qualche esponente della vostra isola. Mi è capitato così di avere tanti ragazzi e ragazze dalla Sardegna, persone bellissime, molto preparate, delle quali conservo un ricordo splendido. E che mi hanno fatto gustare la vostra cucina».

In che modo?

«Dovete sapere che facevamo cucinare a turno ai ragazzi per cena, che cominciava alle 17,30, un piatto della loro regione. In questo modo abbiamo fatto delle bellissime serate cucinando e mettendo in menu maialini, malloreddus e altri piatti tipici, tutti buonissimi e caratterizzati da una grande anima. Serate che ricordo con grande piacere, tutte differenti e molto interessanti».

A volte la cucina sarda viene accusata di offrire un’immagine stereotipata, quasi banale, standardizzata su certi piatti. Anche lei ha questa immagine?

«Assolutamente no. Ritengo che la vostra sia una cucina bella, interessante, con una certa personalità e in grado di distinguersi in tutte le occasioni, specie se la paragoniamo ad altre cucine che troviamo in giro per il mondo. La differenza la fanno i ristoratori che vanno all’estero ad aprire un locale. Se ci pensate, nella maggior parte dei casi un cuoco che emigra dall’Italia apre un ristorante italiano. Un sardo invece ha un approccio differente, se apre un locale all’estero di solito un ristorante di cucina sarda che, infatti, possiamo trovare un po’ dappertutto. Il valore aggiunto poi è costituito dai prodotti che si utilizzano. Noi a suo tempo avevamo un fornitore bravissimo, ricordo ancora il cognome, Vallebona, che ci forniva prodotti straordinari. In particolare un tonno buonissimo di Carloforte, una roba veramente incredibile, così come la bottarga sempre di tonno. E poi il “casu marzu”, un prodotto che considero veramente super anche se le regole adesso sono diventate più stringenti. Facevamo delle insalate pazzesche. E la qualità dei prodotti, ricordatevi, è quella che veramente fa il piatto».

Lei è stato uno dei primi, se non il primo, chef italiani a ricevere la stella Michelin conducendo un locale all’estero.

«Non so se sono stato il primo ma non è un primato al quale tengo particolarmente. La vera forza è un’altra perché stiamo parlando di 30 anni fa, il ristorante era lo Zafferano, e fu un traguardo molto importante perché non era semplice trovare spazio in una guida francese con un locale al cento per cento italiano. Pensate che nella carta dei vini non avevamo nemmeno lo champagne, un locale così che prende una stella Michelin all’estero significò far fare alla cucina italiana un grande passo avanti».

Ha parlato di cucina italiana: un altro dibattito ricorrente è se esista davvero.

«Non si dovrebbe dibattere su questo, la cucina italiana esiste ed è un prodotto incredibile, porta con sé la storia di venti regioni diverse per storia, tradizioni e microclimi. Diventa complicato uniformarla in un prodotto uguale per tutti però ha un grande valore e sta conquistando sempre più valore: se in grandi contesti internazionali si tende a far aprire un ristorante italiano e non francese, ribaltando tutto, ci sarà un motivo».

Chiudiamo con Masterchef: ha cominciato come ospite, poi è diventato pilastro insostituibile dello show.

«Non esageriamo, nessuno è insostituibile. Certamente siamo un gruppo molto affiatato, abbiamo anche segnato un cambio di passo nella conduzione evitando comportamenti umilianti nei confronti dei concorrenti, il nostro è un approccio più concettuale per far crescere i personaggi. Diciamo che finché l’aria è questa e mi diverto, non c’è motivo di cambiare».

Dica la verità: vi piacciono davvero tutti i piatti che i concorrenti vi propongono?

«Dovete fidarvi di noi. Tenete sempre presente che è un programma televisivo, quindi è intrattenimento, c’è un montaggio, noi assaggiamo il piatto e se non ci piace lo diciamo. Voi invece giudicate con gli occhi e quindi, appunto dovete fidarvi di quello che diciamo. D’altronde ognuno ha i suoi gusti personali e non si discutono, c’è chi va matto per il caviale e chi non lo vuole nemmeno vedere, per dire. Il bello del mangiare è proprio questo, in fondo».

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