Ugo Bressanello: «Aiutare è una scelta egoistica, lo fai per gli altri ma anche per te»
Da manager di successo a fondatore di Domus de Luna: «Accogliamo chi è in difficoltà e costruiamo percorsi di riscatto e autonomia»
In vent’anni la Fondazione Domus de Luna ha assistito migliaia di persone in condizioni di povertà assoluta, gestendo comunità di accoglienza per minori e mamme in difficoltà. Dal 2010 la Locanda dei Buoni e Cattivi offre opportunità di riscatto lavorativo, l’Exmè a Pirri si occupa di prevenzione nelle periferie, mentre nella riserva WWF di Monte Arcosu si uniscono ospitalità e tutela ambientale.
Tutto questo è stato creato dall’ex manager di Tiscali Ugo Bressanello. Quello che doveva essere un anno sabbatico è diventato un impegno che va avanti da due decenni.
Cosa ha trovato in Sardegna che l’ha spinta a restare?
«Dal punto di vista professionale, la Sardegna dei fine anni’90 era la Silicon Valley del resto del mondo, con l’eccellenza in ogni campo legato a internet e allo sviluppo tecnologico. Dal punto di vista personale, la bellezza della terra e del mare, la possibilità di crescere figli in un ambiente che è una continua scoperta. E poi l’opportunità di restituire qualcosa, di crescere un progetto di solidarietà. Qui l’ambiente è più raccolto, le relazioni sono più facili, anche dal punto di vista economico è più facile investire e gestire un ritorno sociale maggiore».
Qual è stata la molla che l’ha portata a lasciare la sua professione?
«Con mia moglie abbiamo adottato un bambino. Se non l’avessimo fatto, non avremmo mai saputo che nel 2005 stavano chiudendo gli orfanotrofi. Il secondo aspetto è legato alla scelta di Renato Soru, che stava decidendo di candidarsi a governare la Sardegna. Me la raccontava nei termini di restituzione: aveva ricevuto tanto e voleva restituire. Le due cose si sono combinate bene. A Milano, nel nord Europa non si faceva altro che correre. Ho imparato a prenderla con più filosofia, a respirare con più tranquillità».
Immaginava che Domus de Luna potesse diventare quello che è ora?
«Pensavo una cosa molto più piccola. Stavano chiudendo gli orfanotrofi, non esistevano abbastanza case comunità per accogliere questi 30 mila minori che vivono fuori famiglia in Italia. L’obiettivo era creare qualcosa per accoglierli. Poi ti rendi conto che le mamme hanno gli stessi problemi dei bambini. Questi bambini crescono, pensi a case per i giovani. Poi viene il pensiero: “non si può fare qualcosa per prevenire? ”. Così è nato l’Exmè, poi la Locanda dei Buoni e Cattivi, che oggi conta tre ristoranti con 70 persone che lavorano. C’è la gestione di Monte Arcosu, la riserva più grande del WWF in Italia, e la Fattoria Molto Sociale. È diventato un sistema molto più complesso ma anche più completo».
Quante persone aiutate oggi?
«Le famiglie in povertà assoluta sono 3.000, 9. 500 persone circa, iscritte a TiAbbraccio, il servizio esploso durante il Covid. Abbiamo circa 400 bambini in povertà assoluta che non hanno compiuto 4 anni, e più di 2. 000 minorenni. Sono numeri vergognosi. Complessivamente sono ben oltre le 10. 000: in comunità hanno vissuto più di 300 tra bambini e ragazzi, i Buoni e Cattivi in 15 anni hanno formato oltre 400 ragazzi».
Come è cambiata la fragilità?
«È aumentata la fragilità psichica in maniera importante. Lo vediamo nelle scuole: circa il 10% degli alunni ha bisogno di certificazione e assistenza speciale, prima non era così. I minori indicati dal Tribunale per un’accoglienza protetta sono sempre 30. 000 in Italia, ma sono casi sempre più complessi. L’altro fattore è la povertà, oggi incredibilmente diffusa. Prima del Covid e dopo il Covid sono cambiate entrambe le variabili, sia il disagio economico che quello psichico».
La soddisfazione più grande?
«I premi non è che interessino molto, fanno piacere perché significano relazione, essere nominato Ufficiale dal Presidente della Repubblica è stato il più inaspettato. Ma è il quotidiano quello che da più soddisfazione: vedere il bambino che sta meglio, la famiglia che trova una sistemazione, il clima durante la distribuzione del cibo. La parte assistenziale è solo un tampone, non una soluzione. Con Domus de Luna cerchiamo sempre soluzioni per un cambiamento».
Cosa potrebbe funzionare meglio in Sardegna?
«Le problematiche non sono solo regionali, sono problemi nazionali. C’è il disagio estremo legato a problemi psichiatrici e dipendenze. La rivoluzione post-Basaglia è stata fraintesa. Oggi chi è in estrema difficoltà trova spesso casa in un carcere. È terribile. Penso si debba rimettere testa al sistema sanitario dell’accoglienza e della cura. E all’origine di questo disagio c’è spesso un’infanzia non curata, traumi che uno si porta appresso. Investirei nella prevenzione, nella cura dei più piccoli. Un’altra cosa: politiche del lavoro diverse, attive, con meno burocrazia e più innovazione e senso di responsabilità».
Quali sono i prossimi progetti?
«Stiamo unendo la cura delle persone con l’inserimento lavorativo e la cura dell’ambiente, la protezione degli animali e della biodiversità. Nasce dall’accordo 2019 con il Wwf per Monte Arcosu. Continua con la Fattoria Molto Sociale, dove produciamo ortaggi per ristoranti e comunità. Abbiamo anche preso 3 cavalli che erano destinati al macello, 8 asinelli, 50 galline. Lavoriamo per la protezione della natura, ma anche per un diverso rapporto con l’agricoltura sociale, con modalità più sane di produzione. E lavorando con gli animali in modo che sia terapeutico per le persone, ma anche bello per gli animali».
Rifarebbe la scelta di quell’anno sabbatico?
«Sì, ormai mi sento sardissimo, mi prendono in giro perché sono più ortodosso nella “sarditudine”. Ho cominciato da Osidda, non dalla Costa Smeralda. Ho apprezzato valori che ho sentito subito miei. Non è una scelta in meno, è una scelta in più, che ti dà qualcosa. Ti fa vivere meglio, ti fa guardare allo specchio e dire “sorridi che stai facendo la cosa giusta”. È una scelta egoistica, che fai per gli altri ma perché fa bene anche a te. Lo rifarei 100 e 100 volte».

