La Nuova Sardegna

L’intervista

Luigi Patronaggio, procuratore generale di Cagliari: «Il ddl Valditara è dettato da paure e pregiudizi»

di Francesco Zizi
Luigi Patronaggio, procuratore generale di Cagliari: «Il ddl Valditara è dettato da paure e pregiudizi»

Il magistrato interviene sul disegno di legge che introduce il consenso informato dei genitori per i programmi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole

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Sassari Nel pieno della discussione nazionale sul disegno di legge che introduce il consenso informato dei genitori per i programmi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole, il procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio interviene con una lettura che va oltre la superficie del confronto politico.

Procuratore, alla luce delle recenti polemiche, come giudica il ddl Valditara? «L’impostazione del disegno di legge del Ministro Valditara sul consenso informato in ambito scolastico, pur pregevole nella forma e nelle intenzioni, esprime, seppur mascherata, una precisa scelta di campo. Dietro al necessario consenso dei genitori per la partecipazione degli alunni a programmi di educazione sessuale/affettiva, si nasconde, infatti, la paura e il pregiudizio che attraverso l’introduzione di questi studi possano approdare in aula teorie di genere, giustificazioni delle diversità, libertà nelle scelte sessuali e affettive. Questo mio rilievo non è una considerazione maliziosa, o di parte, ma ha trovato conferma in alcune dichiarazioni di un rispettabile esponente di un partito della stessa coalizione di maggioranza che ha promosso il disegno di legge in questione. L’affettività dei nostri ragazzi non si forma attraverso il silenzio o la negazione ma deve nutrirsi della conoscenza responsabile, ragionata e aperta al confronto, divulgata da docenti seri, preparati e non professanti alcun tipo d’ideologia».

Quali potrebbero essere le conseguenze della negazione del consenso di una famiglia?

«Il necessario consenso dei genitori, ove negato, rischia di tramandare dinamiche familiari non sempre corrette e talvolta addirittura criminogene. Si pensi a una famiglia che si regge su ancestrali valori patriarcali, o una famiglia d’immigrati che per cultura di origine discrimina le donne, o ancora una famiglia dove vige per malintesi motivi religiosi il divieto assoluto di affrontare questo tipo di questioni. La negazione del consenso in questi contesti, priva i ragazzi di una crescita culturale e affettiva che potrebbe avere, viceversa, una ricaduta positiva nei rapporti sociali fra ragazzi e ragazze di diversa estrazione sociale e nell’allontanare il rischio della commissione di quei reati originati, o comunque connessi, a malsane dinamiche intrafamiliari».

Il tema della violenza di genere però non ha nulla a che fare con l’ideologia.

«L’educazione all’affettività, intesa come rifiuto della prevaricazione di genere e negazione di una sessualità basata sulla violenza e sulla pornografia, non ha colore politico e costituisce un valido antidoto alla perpetuazione dei reati di molestie, stalking, maltrattamenti in famiglia e violazioni più o meno gravi della libertà sessuale».

Quali sono i primi segnali di degenerazione in una relazione?

«L’amore malsano, vissuto come possesso esclusivo dell’altro, è il primo campanello di allarme di una potenziale situazione di maltrattamenti e di violenze. Noi dobbiamo insegnare ai ragazzi che un partner che ti vieta di frequentare gli amici, che ti nega una vita sociale, che non rispetta le tue libere scelte, che ti condiziona la vita di relazione con una gelosia morbosa, non è un partner che ti ama, ma è un partner che ti usa egoisticamente».

Dal 2019 il Codice rosso ha introdotto tempi più rapidi e maggiore tutela per le vittime. Quali sono i punti di forza della procedura?

«L’introduzione del c.d. codice rosso, cioè di procedure veloci, attente alle denunzie, ai timori e alla protezione delle persone offese, ha dato ottimi risultati in termini di repressione del fenomeno ma sicuramente si è rivelato meno efficace in termini di prevenzione. I reati di genere, infatti, sono alimentati da una cultura di prevaricazione maschilista che nasce già all’interno delle famiglie e si rafforza dall’instaurarsi di patologiche relazioni fra i partners dove violenze e ricatti affettivi sono scambiati per forme particolari di amore. Educare all’affettività, al rispetto di genere, accompagnare i soggetti deboli verso un cammino di consapevolezza di sé, sono momenti importanti verso una sessualità che non sia solo possesso e affermazione di sé ai danni dell’altro. Il soggetto istituzionale che può affermare questi valori non può che essere la scuola, coadiuvata da professionisti esterni, medici, psicologici e sociologici. L’educazione sessuale/affettiva nelle scuole non deve tuttavia esaurirsi nell’insegnare come si procrea, o come evitare gravidanze indesiderate o ancora come proteggersi da malattie sessualmente trasmissibili, ma deve formare ragazzi e ragazze capaci di gestire in modo maturo e consapevole i loro rispettivi rapporti».

Poi ci sono i percorsi di rieducazione che possono rappresentare una risposta complementare ai processi.

«Accanto alla protezione dei soggetti deboli va affiancato anche un lavoro di recupero dei soggetti maltrattanti. L’applicazione della sola pena criminale, infatti, non protegge la società da recidive e, proprio per questo motivo, il nostro ordinamento penitenziario impone al condannato di seguire dei percorsi riabilitativi in cui impara a rispettare l’altro, ad analizzare e contenere la propria rabbia violenta, a riscoprire il lato di sé oscurato dalla voglia di prevaricazione e dominio».

I dati regionali indicano nel 2024 un aumento dei reati legati al Codice rosso, cosa ci dice il trend?

«A parte il 2024, che è stato per la Sardegna un anno orribile per i femminicidi (ben 6), nel 2025 si è ritornati ai dati del 2023, con una tendenza alla stabilità. Certo non sono mancati clamorosi episodi di cronaca nera come l’omicidio di Cinzia Pinna a Olbia o quello di Francesca Deidda a Cagliari che si è chiuso giudizialmente quest’anno, ma proprio dall’analisi di questi fatti di sangue, così come da altri apparentemente minori, dobbiamo trovare gli strumenti per capire e prevenire». (francesco zizi)

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