La Nuova Sardegna

L’intervista

Maurizio Carucci: «Partire è sempre una buona idea»

di Paolo Ardovino
Maurizio Carucci: «Partire è sempre una buona idea»

Il cantante degli Ex-Otago Maurizio Carucci l’11 ottobre fa tappa a Cagliari. Al Marina cafè noir presenta il libro d’esordio “Non esiste un posto al mondo”

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Voce calda e ferma. Idee che si muovono all’impazzata. Maurizio Carucci questa volta non ha microfono e un palco, non è il leader degli Ex-Otago, è lo scrittore che debutta con “Non esiste un posto al mondo” (Harper Collins, ottobre 2024). Romanzo sul viaggio nel senso più ampio possibile, che Carucci presenterà a Cagliari l’11 ottobre per il festival Marina cafè noir. A seguire, anche una lettura scenica con Francesco Bonomo, Emanuele Contis e Ilaria Porceddu.

Partiamo dall’esperienza che ha dato vita al libro. Una camminata dagli appennini liguri a Milano. Com’è stato?

«Un viaggio abbastanza disperato ma anche estremamente divertente. È stata una sorta di risposta e reazione a un momento delicato della mia vita, in cui non trovavo risposte che servivano. Divertente perché comunque l’idea di raggiungere a piedi una delle città più collegate di tutte ha certamente una vena autoironica e un po’ fantozziana. Che, devo dire la verità, non mi dispiace e anzi mi ci riconosco».

Il racconto parte dai palazzi di Marassi, il suo quartiere a Genova prima di andare a vivere in campagna. Luogo non di arrivo ma di partenza, lei scrive.

«Quando uno non ha bene idea di cosa fare per migliorare la sua situazione o ha un bisogno impellente, per quanto mi riguarda, c’è da fare solo una cosa: partire. E poi c’è la magia dei luoghi, hanno forme che ad alcuni vanno bene e ad altri no, sono un po’ come le taglie. E la mia città non mi sta. L’ho vissuta da dentro, comprendo la fascinazione che può avere, insegna la convivenza con le diversità, anche quella di mare e montagna».

Cosa non le piace?

«Oltre la facciata so che ha una lunga serie di aspetti nefasti. Non ha la cultura che ha in questo momento Milano, che dista un’ora e venti di auto. Non si trova lavoro, alcune professioni non esistono. Genova la detesto e la amo profondamente».

Lo sguardo verso l’altrove, che domina “Non esiste un posto al mondo”, l’ha ritrovato anche in altre persone con cui si è confrontato?

«Non sono il primo a ragionare sull’inettitudine delle persone. Ne scriveva Seneca, Nietzsche, Schopenhauer. A mio avviso il punto di partenza è che le persone siano mancanti, estremamente parziali, e non credo abbiano gli strumenti per gestire l’immensità della vita. La mia tesi è che ognuno a modo suo trova qualche trucchetto per restare in equilibrio: chi fa sport, chi si avvicina con la spiritualità, chi fa figli, chi si dedica al lavoro ed è sempre reperibile. Ognuno fa le sue scelte e parte da una condizione di inappropriatezza».

Parliamo di scrittura, dalle canzoni alle pagine di un libro cosa cambia?

«Sono arrivato a scriverlo a 44 anni, prima non avevo qualcosa da raccontare. La canzone è una gabbia dorata, ho sentito l’esigenza di una dimensione diversa e quella letteraria mi ha sempre affascinato, prima di tutto come lettore».

Pensa già ad altre storie?

«Questo libro mi ha veramente cambiato, vorrei diventasse il primo passo di un percorso lungo».

Il calendario è fitto nei prossimi mesi. Le piacciono le presentazioni? L’idea di dover parlare della sua storia, della scrittura, dei sentimenti racchiusi?

«Per la prima volta nella mia vita mi sento pronto. E la cosa un po’ mi preoccupa, perché finora non sentendomi tale è comunque andato tutto abbastanza bene (ride, ndr). Mi piace perché si parla di una condizione umana tutt’altro che risolta, e il libro è un libro incompiuto, che non si chiude. Poi amo incontrare le persone, assorbire visioni altrui».

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