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Il frutto rosso diventato eccellenza

di Caterina Cossu
Il frutto rosso diventato eccellenza

La cooperativa produttori di Arborea: dodici agricoltori e quattordici ettari di filari

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Il sole le fa crescere succose e profumate, ma mai toccarle quando i raggi arrivano diretti e il caldo si fa più intenso. La loro superficie turgida e perfetta, rotta solo dalla pioggia di semi, si increspa e possono arrivare addirittura le muffe. Vanificando così quel dolce miracolo che è la fragola, cuore vivo dell’economia di Arborea. «In Sardegna l’hanno portata dal Nord Italia ai tempi della Bonifica, qui non si era mai vista. Poi si è diffusa in tutta l’isola, ma per noi resta un simbolo identitario» racconta Roberto Floris, il tecnico che si occupa delle orticole per la Cooperativa Produttori. Ne fanno parte attualmente dodici agricoltrici e agricoltori delle fragole: i loro filari si estendono su circa 14 ettari totali e restituiscono approssimativamente 300 mila chili di rossi frutti all’anno, per un fatturato che vale almeno un milione di euro.

«Si tratta di una delle poche colture che ancora ripaghi degli sforzi, l’investimento iniziale è grossissimo e completamente a carico di chi lo fa per almeno i primi 4 mesi – spiega Floris –. Il grande cruccio del comparto è la mancanza di manodopera specializzata: la produzione, infatti, è concentrata da ottobre a giugno». Il fine settimana del Primo maggio si potrà assaggiare il prodotto locale alla Sagra delle fragole, inserita nell’ambito della Fiera zootecnica, e organizzata con la collaborazione della Pro Loco di Arborea: «La fragola per noi è un frutto sociale, ci tenevamo a recuperare questo appuntamento, agli inizi degli anni 2000 si era un po’ perso», racconta il presidente Paolo Sanneris. Il mare protegge ancora dalla dilagante invasione delle produzioni europee, come quella spagnola, e il sentimento registrato sia dalla grande distribuzione che nelle piccole botteghe è che la clientela sia disposta a spendere qualche euro in più purché possa garantirsi il prodotto locale. In questo senso, l'esperienza di Arrubiedda, produzione della cooperativa Le Agavi, fa scuola: «L’idea nasce per valorizzare il lavoro manuale e artigianale che sta dietro al confezionamento della semplice cassetta, del quale si è sempre occupata mia madre Lucia, ed evidenziare la cura della parte agronomica garantita da mio padre, Antonio» racconta Stefano Orrù, ideatore del marchio per l’azienda di famiglia quando era ancora uno studente. Nei ricordi di bambino ha nitidi i gesti che hanno dato forma a un concept oggi diventato il punto di riferimento per le produzioni di nicchia del comparto. «Mi ha sempre affascinato la dote estetica, forse inconsapevole, di mia madre nella composizione dei cestini. Quando accompagnavo mio padre al mercato di mattino presto, trovavamo la fila di negozianti che aspettavano le nostre fragole, raccontandoci di riuscire a venderle solo grazie al loro profumo, oltre che al gusto. Da qui, abbiamo sentito l’esigenza di renderle riconoscibili e oggi possiamo dire che ha funzionato».

“Arrubiedda” significa rossiccia e il logo presenta diverse sfumature. «Quando siamo usciti con le prime cassette firmate, coltivavamo la varietà Naiad, che è proprio a forma di cuore, grande, dolce e rossissima – racconta Lucia Caddeo –. Oggi la produzione si concentra sulla Nabila, che è la più apprezzata. Siamo diventati riconoscibili anche per il grande lavoro di abbattimento nell’uso di pesticidi e fitosanitari, sostituiti quasi integralmente con insetti antagonisti o attrezzi manuali, come il piccolo tosaerba con il quale mio marito realizza il prato verde tra un filare e l’altro. Ci sta a cuore il rispetto della biodiversità: non abbiamo mai puntato alla produzione intensiva e non abbiamo mai forzato i tempi».

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