Spiagge invase dalla plastica, dopo il maestrale è un disastro
L’allarme per le coste della Sardegna lanciato dai ricercatori del Cnr-Ias di Torregrande
Oristano L’ultima mareggiata di una settimana fa è stata un disastro su tutta la costa centro occidentale. Non è però una novità, perché ormai da anni il fenomeno rappresenta purtroppo la normalità. La presenza di quantità elevate di plastiche e microplastiche è una minaccia fra le più pericolose per i nostri mari, in grado di alterare i delicati equilibri degli ecosistemi e di mettere in pericolo la sopravvivenza e la qualità di vita di diverse specie animali e vegetali. Al di là di quel che in tanti hanno constatato a occhio nudo, «La plastica in mare rappresenta un grosso problema e purtroppo i dati ci dicono che nonostante le leggi e le regole, adottate a livello comunitario, non si sta riducendo sia a livello visivo sia dai riscontri del lavoro che ogni giorno facciamo in mare – afferma Andrea De Lucia, ricercatore del Cnr-Ias di Torregrande –. Le stesse tartarughe testimoniano che si tratta di un problema costante, tant’è vero che negli esemplari ricoverati nel nostro centro si evidenzia sempre l’ingestione di plastiche per errore. Certe volte il quantitativo è equivalente a quello di cibo ingerito dall’animale. Questo perché spesso altri paesi che si affacciano nel Mediterraneo, come il Nord Africa, per non parlare degli oceani, continuano ad affrontare il problema della plastica diversamente. Non si va nella stessa direzione e il mare, nel bene o nel male, unisce».
Tappi, nonostante ora siano per legge legati alle bottiglie, cotton fioc, benché la legge imponga di utilizzare solo quelli in cartone, e poi cannucce, stecche dei lecca lecca, buste di plastica, che non si degradano, frammenti di reti o di lenze da pesca, punte di ombrellone, sono solo alcune delle tipologie più diffuse di plastiche che abbondano anche nei mari dell’Oristanese. Per la maggior parte si tratta di oggetti che si trovano in acqua già da tempo e iniziano a frammentarsi, e che sono stati o deliberatamente gettati dai cittadini o dispersi in natura e portati in mare dagli agenti atmosferici, talvolta con responsabilità delle amministrazioni. A sorpresa, si trovano spesso anche oggetti di plastica che non ci si aspetterebbe, come le cartucce da caccia. «La caccia è un’attività che non si svolge vicino al mare – spiega il ricercatore del Cnr-Ias di Torregrande, Andrea Camedda –, tuttavia con il dilavamento dei terreni, e attraverso i corsi d’acqua, le cartucce abbandonate dai cacciatori arrivano nei nostri mari. Quindi servirebbe una sensibilizzazione in questo senso».
Le mareggiate di dicembre, legate al forte vento di maestrale, hanno evidenziato che il problema delle plastiche interessa diverse spiagge oristanesi: «Dai monitoraggi recenti in un tratto di costa a Is Arenas, in seguito a una mareggiata, abbiamo trovato dei quantitativi notevoli di plastiche e zone con accumulo di microplastiche, difficili perfino da quantificare – sottolinea Andrea Camedda –. Lo stesso accade in altre spiagge della costa occidentale, come San Giovanni di Sinis, Sa Rocca Tunda e il lato occidentale dell’Isola di Mal di Ventre esposto per l’appunto a maestrale». Racconta Andrea De Lucia: «A San Giovanni di Sinis, in occasione dell’ultima mareggiata, vicino al Centro di recupero delle tartarughe, abbiamo notato che, quando le onde sparavano l’acqua questa era piena di plastiche di ogni tipo: pezzi di rete, tappi di bottiglie, punte di ombrellone. Il mare porta tutto e, quando ci sono le mareggiate, non fa altro che raccogliere e concentrare. Dovremmo essere bravi ed è una proposta per le istituzioni, in queste occasioni a organizzare delle giornate ecologiche specifiche e a non limitarci alla sola estate. Più se ne rimuove di quella visibile, più si fa bene all’ambiente, ben sapendo che poi ci sono quelle invisibili, le microplastiche».
Fra le vittime ci sono anche le tartarughe marine. «A livello di letteratura scientifica, i due problemi più importanti segnalati per le specie che popolano i nostri mari sono l’ingestion, ovvero ciò che mangiano, e l’entanglement, ossia l’impigliamento – spiega Andrea De Lucia –. Entrambe le situazioni possono avere esiti mortali per gli animali o comportare una menomazione fisica, come appunto la perdita di un arto». Il collega Andra Camedda sottolinea: «La casistica ci dà una conferma: su cinque animali nostri ospiti nel Centro di recupero di San Giovanni di Sinis, tutti hanno avuto problemi di interazione con plastica, addirittura quattro, considerando quella liberata qualche settimana fa, avevano una pinna mancante per amputazione o auto-amputazione causata da intrappolamento in plastiche come nylon e fili».
Anche per l’uomo ci sono gravi conseguenze: «Le microplastiche non si vedono perché sono più piccole di un capello, ma pesci e plancton le mangiano di continuo – spiega Andrea De Lucia –. Questo causa seri danni all’ecosistema intero, uomo incluso. Sono ingerite involontariamente dalle specie marine attraverso l’acqua e da loro arrivano all’uomo. Pensiamo a cozze e ostriche, poi c’è la tradizione che il muggine si mangia con lo stomaco, inoltre tutte le specie da frittura come calamari e pesci minuti vengono ingerite dall’uomo per intero, cosicché oltre alla parte assorbita dal tessuto adiposo, vengono ingerite anche le microplastiche contenute nella pancia. Studi scientifici dicono che ogni persona ingerisce in media ogni anno, in alcuni casi ogni sei mesi, un quantitativo di plastiche pari a una carta di credito, con tutti i problemi di salute che questo causa». Assodato che è un problema anche per i mari oristanesi, cosa si può fare in concreto? «La cosa più importante – spiegano gli esperti del Cnr-Ias di Torregrande – è la rimozione delle plastiche visibili, coinvolgendo scuole e turisti in giornate ecologiche. È però fondamentale anche parlarne e sensibilizzare cittadini e amministrazioni». Anche il Cnr-Ias è coinvolto in prima linea come partner del progetto Remedies, un Horizon Europe cui aderiscono più di venti soggetti, fra cui istituti di ricerca e aziende produttrici di plastica. «L’obiettivo – sottolineano i due ricercatori – è trovare soluzioni innovative per prevenire, monitorare e rimuovere la plastica da fiumi e mari. Il Sinis è un demo site in cui vengono svolti monitoraggi e testate le nuove tecnologie».