La Nuova Sardegna

Le due tragedie

Strage di Nuoro, Andrea Carnevale: «Voglio incontrare il ragazzo sopravvissuto, so cosa prova»

di Luigi Soriga
Strage di Nuoro, Andrea Carnevale: «Voglio incontrare il ragazzo sopravvissuto, so cosa prova»

Stessa età e stesso giorno: l’ex calciatore della nazionale aveva 14 anni quando il 25 settembre del 1975 il padre uccise la moglie

28 settembre 2024
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Sassari Ha letto l’età: 14 anni. Ha letto che il padre aveva ucciso la moglie, e poi sterminato la famiglia, prima di suicidarsi. Ha letto la data: 25 settembre. E gli sono venuti i brividi.

La mente di Andrea Carnevale è andata in rewind, come capita ad ogni notizia di femminicidio. Ma questa volta in maniera più dolorosa. Troppe le coincidenze. Questa volta la ferita nell’anima, ormai rimarginata, ha ripreso a sanguinare.

«Vorrei tanto incontrare di persona questo ragazzo. Vorrei conoscerlo, abbracciarlo, stringerlo al petto. Vorrei dirgli di essere forte, e di non fare in modo che ciò che è accaduto gli distrugga l’esistenza. Si può andare avanti, si deve andare avanti. Ora per lui inizia la vera sfida, deve trovare la forza di riscattare la propria vita, e Nuoro, la sua comunità, deve stargli vicina».

Era il 25 settembre1975 e Andrea Carnevale aveva 14 anni. Giocava già a pallone, e già si intravvedeva quel bagliore che l’avrebbe portato oltre i campetti di paese, a indossare la maglia di attaccante della nazionale, e poi a vivere di calcio. Oggi è capo osservatore dell'Udinese. Ma quella mattina era ancora un ragazzino con tanti sogni e un’infanzia rigata da un padre violento. Si chiamava Gaetano, e il 25 settembre di 49 anni fa aveva un’accetta in mano. Si diresse verso il fiume che scorre vicino al paesino dove abitavano, Monte San Biagio in provincia di Latina. Sapeva di trovarci la moglie Filomena che stava lavando i panni.

«Anche una delle mie sorelle era lì, mentre io stavo giocando a pallone vicino. Quando mi hanno detto che l’aveva uccisa, ho provato una rabbia profonda. Tante volte ero andato a parlare col maresciallo dei carabinieri, a raccontare che mio padre non faceva altro che picchiare mamma, che non c’era con la testa ed era pericoloso. Mi aveva risposto che senza il sangue loro non potevano fare niente. Allora sono andato in riva al fiume, ho raccolto i pezzetti di cervello di mia mamma e li ho portati al maresciallo. “Hai visto che poi è successo?” Gli ho detto. “Volevi il sangue? Eccotelo, adesso lo vedi”».

Poi ha fatto la pace con l’Arma, oltre che con il destino. «Erano altri tempi, 50 anni fa sono una eternità, non c’era la sensibilità di oggi. Non posso prendermela con quel povero maresciallo». Andrea Carnevale riesce anche a definirsi un uomo fortunato, quella violenza lo ha reso più resistente agli scossoni del mondo, gli ha foderato il futuro.

«Mi ha dato una forza da lupi. Dentro di me ho creato una cassaforte, e ci ho messo tutto quel male. È stata la mia riserva di rabbia, di voglia di riscatto. Mi sono ripreso la vita, e posso ritenermi appagato e felice». Riflette: «Alla fine sono arrivato a questa conclusione. La vita è una cosa talmente bella, e io se potessi ne vivrei anche 10. Ma con una precisa consapevolezza: nella vita possono succedere cose terribili. Accadono e basta. Bisogna metterle in conto. A noi sta affrontarle e superarle, non farci travolgere».

Riflette ancora: «In fondo è destino che io dovessi andare avanti e raggiungere i miei traguardi. Era scritto da qualche parte. Perché cinque anni dopo l’omicidio, successe un altro episodio incredibile. Mio padre si beccò solo 5 anni di manicomio criminale e tornò a casa. Non era cambiato, l’aggressività era la stessa. Una sera io e lui litigammo. Lui mi picchiò, mio fratello intervenne in mia difesa. Mio padre corse sul balcone e si gettò a testa in giù davanti ai miei occhi. Io presi l’auto e corsi dai carabinieri, per dire che si era ammazzato. E al ritorno pioveva, ero veloce, e in una curva persi il controllo. La macchina andò a sbattere contro l’unico albero che separava quella curva dal burrone. Quel giorno sarei morto anch’io».

Anche Roberto Gleboni, il killer di Nuoro, si è suicidato: «Meglio che sia andata così, per me fu una liberazione. Come avrei fatto a sopravvivere accanto a chi aveva fatto a pezzi mia madre?».

È convinto di una cosa: «Uno non si sveglia la mattina e decide di fare una carneficina. Dietro c’è un trascorso di violenza, ci sono segnali, ci saranno episodi che verranno fuori dalle testimonianze. Quella non poteva essere una famiglia serena».

«Mia figlia ha 20 anni, è fidanzata e io non smetterò mai di ripeterle una cosa: se lui un giorno ti darà anche un solo schiaffo, lascialo all’istante. Anche se ti chiede scusa, lascialo. Perché intanto lui lo rifarà».

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