La Nuova Sardegna

L’intervista

Natalino Mele, l’ex bimbo graziato dal Mostro di Firenze: «Rimasi sconvolto quando scoprii di essere figlio di Giovanni Vinci»

di Francesco Zizi
Natalino Mele, l’ex bimbo graziato dal Mostro di Firenze: «Rimasi sconvolto quando scoprii di essere figlio di Giovanni Vinci»

Figlio di Barbara Locci e unico testimone del killer: «Le ferite di quella notte mi perseguitano ancora, ora vorrei solo un po’ di pace»

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Cinquantasette anni fa, nella notte tra il 21 e il 22 agosto 1968, un bambino bussa alla porta di un casolare di campagna, è solo, scalzo e traumatizzato: quel bimbo era Natalino Mele e lì inizia la storia del mostro di Firenze. Pochi minuti prima sua madre, Barbara Locci, e il suo amante Antonio Lo Bianco, vennero brutalmente uccisi mentre lui dormiva sul sedile posteriore. Per decenni gli viene detto che suo padre era Stefano Mele, l’uomo finito in manette per il duplice omicidio, nonché marito della Locci.

Una settimana fa, la scoperta genetica che sconvolge tutto: Natalino non è figlio di Mele, bensì di Giovanni Vinci, ormai defunto. Il vero padre di Natalino, che non è mai stato lambito dall’inchiesta, era però il fratello più grande di Francesco e Salvatore, membro di quel “clan” di sardi che dal 1982 entrerà nel mirino delle indagini, con l’arresto di Francesco prima, e con i sospetti su Salvatore poi. La nuova verità potrebbe dare spiegazioni a tanti misteri di questa storia ancora irrisolti. Non è mai stato chiarito chi e perché risparmiò il bambino, e anche come Natalino, in quella notte di cui non ricorda nulla, arrivò a una casa distante un paio di chilometri, al buio, in una strada ciottolosa di campagna. E ora questa vicenda va rianalizzata anche nell’ottica della ricerca della pistola, mai ritrovata, che uccise la notte del 1968 e si rimise in azione dal 1974 al 1985 per ammazzare altre sette coppie.

Signor Mele, è passata una settimana da quando ha scoperto che suo padre è in realtà Giovanni Vinci, come ha affrontato la notizia?

«Mi ha sconvolto. Io credevo di chiamarmi Mele, sono rimasto scioccato. Mi è stato fatto sapere tramite la procura. Hanno preso il mio dna, non so neanche come, e poi mi hanno fatto sapere l’esito».

Che ricordo ha di quella notte del ’68?

«Non ho alcun ricordo, nessuna immagine, nessun rumore, niente di niente, sennò l’avrei raccontato. Anche le facce implicate nella vicenda le conosco tramite i giornali, personalmente non le ho mai conosciute».

Però dopo l’omicidio, la famiglia Mele e anche quella Vinci rifiutarono di tenerla in casa e lei venne portato in orfanotrofio, quindi un legame con lei c’era. Come può non ricordare quelle persone?

«Perché ero troppo piccolo, so solo che le vicende di quella notte ancora mi perseguitano, ora vorrei solo un po’ di tranquillità, ho sofferto tanto e porto ancora le ferite. Sono stato in collegio dai 6 ai 20 anni, poi sono partito per fare il militare a Capo Teulada, vorrei tornarci in Sardegna, è il mio sogno. Dopo i 20 anni ho vissuto un po’ allo sbando appoggiandomi dove capitava e ora vivo a Firenze, in una casa che ho occupato, le mie condizioni non sono delle migliori».

Lei ha incontrato Stefano Mele dopo che è uscito dal carcere per l’omicidio di sua madre e dell’amante, che persona era?

«Taciturno, parlava pochissimo, ci si abbracciava però. Gli volevo bene, perché ovviamente per me era mio padre, fino almeno a una settimana fa. Non ci frequentavamo ma comunque andavo a trovarlo i fine settimana quando stava in casa di riposo e mangiavamo insieme. Di quella notte però, non abbiamo mai parlato. Io non ho mai domandato».

Perché invece ha scelto di non andare a visitare la tomba di sua madre?

«Non l’ho scelto, non so proprio dove sia, non me l’hanno mai detto. Anzi voglio fare un appello, ditemi dove è sepolta mia madre».

Tra tutti i protagonisti della vicenda del mostro di Firenze nessuno l’ha mai contattata?

«Assolutamente no. Mi lasci anche chiarire anche un’altra questione: molto cose che si trovano sul web io non le ho mai dette».

Per esempio sull’uomo che l’avrebbe accompagnata al casolare quella notte?

«Quella è una delle tante, ripeto che non mi ricordo nulla. Non ho mai conosciuto i Vinci, Pacciani e tutti gli altri».

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