Maxi svalutazione delle pensioni: cosa sta succedendo e le fasce più colpite
Il mancato adeguamento ha portato a perdite fino a 178mila euro
La legge di bilancio di previsione dello Stato, per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale 2024-2026, complice l’elevata inflazione del 2023/24, ha penalizzato come non mai i pensionati. Lo afferma il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Durante la conferenza stampa di presentazione di ieri 17 settembre, Alberto Brambilla, presidente del Centro studi ha dichiarato: «Rispetto alle persone in età attiva pensionati hanno meno possibilità di difendersi dall'inflazione, tanto che il mantenimento del loro potere d'acquisto è affidato quasi esclusivamente ai meccanismi di indicizzazione: ecco perché sarebbe innanzitutto importante avere regole stabili nel tempo e, ancora di più, eque».
L’inflazione e il sistema
Allo scopo di proteggere il potere d'acquisto dei pensionati e garantire loro un tenore di vita adeguato e costante nel tempo, tutti i principali sistemi pensionistici internazionali prevedono adeguamenti degli assegni ai prezzi e/o ai salari. In Italia è dunque attuata la cosiddetta “perequazione automatica”, aumento periodico dell'assegno collegato all'inflazione, negli ultimi 30 anni oggetto di numerosi provvedimenti legislativi, che rappresentano di fatto e in negativo un unicum tra i paesi Ocse; provvedimenti spesso perfino in contraddizione tra loro ma, in linea di massima, accumunati dal principio secondo il quale le pensioni di importo inferiore tendono a godere di un meccanismo più favorevole e, nella sostanza, economicamente più generoso. E’ questa la fotografia dello studio.
Il ceto medio il più colpito
La perequazione sfavorevole, si spiega nello studio, è stata applicata sull'intero reddito pensionistico e non per scaglioni: giusto per fare un esempio riferito al 2023, un pensionato con una rendita pari tra 2.627 e 3.152 euro si è visto rivalutata l'intera pensione al 4,3% (a fronte di un tasso di inflazione definitivo dell'8,1%). Solo per il 2025, di pari passo con l'attenuazione dell'inflazione, si è di fatto tornati all'applicazione a scaglioni su uno schema a 3 fasce: il tasso di inflazione provvisorio dello 0,8% sarà applicato al 100% fino a 4 volte il trattamento minimo (tm) Inps, al 90% tra le 4 e le 5 volte e al 75% al di sopra delle 5 volte il tm dell'Istituto. Il che, tuttavia, non rimedia a quanto accaduto nel biennio precedente: come puntualizza la pubblicazione, non si tratta di una perdita circoscritta a 2023 e 2024 ma di una sottrazione di reddito pensionistico permanente nel tempo e destinata anzi a trascinarsi anche negli anni successivi.
Le perdite
Svalutazione cui si aggiunge quella del triennio 2023-2025, ancora più ingente per l'effetto combinato del boom dell'inflazione e dei meccanismi di perequazione introdotti dall'esecutivo attualmente in carica: in questo caso, le perdite ammontano a circa il 12% e, sommate alle precedenti, determinano una svalutazione delle pensioni di oltre il 21% nell'arco di 14 anni. Volendo fare un esempio concreto, ciò significa che in questo periodo di tempo una pensione da 10.000 euro lordi (circa 6.000 netti) ha perso quasi 178mila euro, mentre una pensione da 5.500 ero lordi mensili (circa 3.400 euro netti) ha subito una perdita pari a circa 96mila euro.
Le dichiarazioni
Secondo Stefano Cuzzilla, presidente di Cida, ci troviamo di fronte ad una «contraddizione evidente», considerando che «1,8 milioni di pensionati con redditi da 35mila euro in su, poco meno del 14% del totale, garantiscono da soli il 46,33% dell’Irpef dell’intera categoria, eppure sono proprio loro i più colpiti dai tagli e dalla mancata rivalutazione. Al contrario, chi ha versato pochi o nessun contributo è stato pienamente tutelato dall’inflazione».
«Tenuto conto - conclude Brambilla - dell'effetto trascinamento, questo significa che i cosiddetti pensionati del ceto medio, oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di Irpef in arrivo dalle pensioni, si vedranno ingiustamente sottratti altri 45 miliardi circa».