La Nuova Sardegna

L’intervista

Ornella Vanoni: «Il giorno che chiesi a papà di comprarmi Cala Luna»

di Andrea Massidda

	Dalla pagina social di Paolo Fresu
Dalla pagina social di Paolo Fresu

Dall’archivio della Nuova Sardegna storie di vita della cantante che amava l’isola: «Se l’età me lo avesse permesso mi sarei innamorata di Paolo Fresu»

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Stregata dalla Sardegna. Tanto da aver pensato con assoluta convinzione di acquistarne un pezzo. Il pezzo più pregiato. Ora Ornella Vanoni è un’elegante e ironica ragazza di 84 anni che adora non prendersi troppo sul serio e appena può si gode la costa meridionale dell’isola insieme a una ristretta cerchia di amici. «Vado sempre nel sud, a Santa Margherita di Pula, dove ha la casa anche Stella Pende e tante altre persone gradevoli», dice.

Eppure per la milanesissima regina della canzone italiana, «la terra dei nuraghi circondati da incantevoli spighe gialle» non è stata soltanto un paradiso nel quale riposarsi durante l’estate. Anzi. Semmai un luogo di avventure, passioni, grandi risate, incontri surreali. A cominciare da quando, a bordo di un traghetto, ci arrivò per la prima volta. Correva l’anno 1959 e Ornella aveva appena concluso la relazione sentimentale che le ha cambiato l’esistenza. Giovanissima, bellissima, piena di talento e voglia di vivere, si invaghì a prima vista di spiagge all’epoca davvero deserte, se non sconosciute. Ma anche del porcetto arrostito alla maniera dei pastori e del miglior cannonau.

Lo ammette lei stessa in questa chiacchierata fatta al termine di un periodo in cui è apparsa continuamente in tivù («mi diverto ma ora basta, sono stanca, e poi troppa esposizione non va bene») e nella quale rivela che sì, in effetti esiste un sardo piuttosto famoso per cui avrebbe volentieri perso la testa. Tutto ciò in attesa di vederla cantare ad agosto sul palco del festival Time in Jazz, a Berchidda. «Farò uno spettacolo con il mio gruppo e naturalmente mi aspetto che Paolo Fresu suoni con noi», annuncia prima di immergersi in gustosi ricordi.

Ornella Vanoni, racconti della prima volta che sbarcò in Sardegna.

«Avevo ventiquattro anni e mi ero appena lasciata con Giorgio Strehler. Così alcune amiche mi proposero di andare a Cala Gonone, dove c’era un’unica pensione, quella del signor Mulas. Poi c’era una piazza e un baretto, nient’altro. Ma niente davvero. A quei tempi nell’interno della Sardegna non c’erano nemmeno i pali della luce. E subito pensai che quello fosse il paradiso. Mi ricordo tante gite con la barca a remi, grandi nuotate, corse in motorino. Restammo quattro mesi e visitammo anche Orgosolo».

Una vacanzina da niente.

«Eh sì. Un giorno andammo a Cala Luna e davanti a quella spiaggia meravigliosa, con gli oleandri e il laghetto accanto, non capii più nulla».

Come la ricca borghese del film di Lina Wertmüller?

«No... forse non ci siamo capiti: io ci andai moltissimi anni prima che uscisse quel film. All’epoca Cala Luna si poteva comprare. E infatti quando tornai a Milano chiesi a mio padre di darmi un milione di lire, che allora era una grande cifra, proprio per acquistarla».

E lui come ha reagito?

«Non me lo ha dato. E ha aggiunto: “Ma chi vuoi che ci vada in quell’isola lì?”».

Non proprio lungimirante.

«Se ci penso: avere una casa che vale miliardi a Cala Luna e non venderla, ma viverci sempre. Nel posto più bello del mondo».

Torniamo alla vacanza. Chissà quanti spasimanti.

«C’era un ragazzo che mi faceva la corte. Una notte si piazzò sotto la finestra della pensione assieme a un gruppo di cantores. E partì con delle serenate dolcissime».

Roba da scoraggiare qualsiasi donna, figuriamoci la voce più bella d’Italia.

«Al contrario. Erano canzoni meravigliose. Peccato che poi, dopo chissà quanti bicchieri, cominciarono a fare degli stornelli volgarissimi, scadendo nel turpiloquio. A quel punto chiusi le finestre».

Altri flirt?

«Ci dissero di andare a trovare un bandito che si era dato alla macchia. E io naturalmente accettai. Dopo aver arrostito il maialetto e dopo molti giri di vino iniziò a corteggiarmi. Purtroppo giunti al momento di assaggiare il casu marzu rimasi infastidita: mi grattavo la testa continuamente, avevo la sensazione che i vermi del formaggio stessero saltellando sui miei capelli».

E quindi?

«E quindi niente, non l’ho più visto. Però piacevo a un altro giovanotto, che mi dicono sia diventato ricchissimo. Andava a dire in giro che gli avevo rovinato la vita perché rifiutavo le sue avance».

Insomma, lei in Sardegna ha spezzato un sacco di cuori, ma si è mai innamorata di un sardo?

«No, non mi è successo. Ma se l’età me lo avesse permesso mi sarei innamorata di Paolo Fresu. Quando l’ho sentito suonare, ormai tanti anni fa, mi sono subito cotta».

Come vi siete conosciuti?

«Ero a Milano e lessi sul giornale un trafiletto che annunciava il concerto di un trio eccezionale con una tromba italiana... Dissi: tromba? Mah, andiamo a vedere. Mi ritrovai davanti e due esseri normali e a un altro che aveva dei pantaloni che gli arrivavano al ginocchio, dei calzini bizzarri, una camicina tutta sbrindellata e i capelli tirati su “a cioccia”, ma con l’elastico che gli pendeva da una parte. A un certo punto si attorcigliò con le gambe, come fa lui prima di suonare. E quando ha iniziato mi si è spezzato il cuore. Ne è nata una grande amicizia. I sardi sono delle persone abbastanza chiuse, ma se ti danno l’amicizia è per tutta la vita».

Quando Fresu ha festeggiato i suoi cinquant’anni con cinquanta concerti avete suonato insieme, vero?

«Sì, mi chiamò al telefono dicendomi: tranquilla, tu prendi l’aereo, sbarchi a Cagliari e poi vieni a Cuglieri. Cagliari-Cuglieri? Pensavo che stesse scherzando, invece Cuglieri esiste davvero».

Ma a parte l’aspetto artistico che cosa le piace di lui?

«La faccia».

La faccia? Insomma, lo trova proprio bello.

«Paolo ha un viso meraviglioso, per non parlare di quando era tutto bruno. E poi ha un carattere flemmatico che gli consente di essere oggi a Pechino e domani a Gallarate». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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