La Nuova Sardegna

Sassari

La sentenza

Abbandonò il figlio neonato sotto l’auto: condannata

di Luca Fiori
Abbandonò il figlio neonato sotto l’auto: condannata

La donna di 30 anni aveva appena partorito. Il suo legale: «Valuteremo se ricorrere in appello»

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Sassari Sei anni e otto mesi per aver abbandonato, nel 2023, il figlio appena nato sotto un’auto nel centro di Osilo. E’ la sentenza di condanna emessa oggi, 9 luglio dal gup Sergio De Luca nei confronti di una trentenne di Osilo accusata di tentato omicidio. Per lei il pubblico ministero Maria Paola Asara aveva chiesto dieci anni di carcere. La notte tra il 17 e il 18 ottobre di due anni fa la trentenne partorì in casa e poi abbandonò il bimbo sotto l’auto di sua madre, poco distante. Dopo  aver letto le motivazioni il difensore della donna, gli avvocati Pietro Fresu ed Elisa Caggiari valuteranno un eventuale ricorso in Appello.

Per la Procura della Repubblica di Sassari il piccolo sarebbe stato esposto a pericoli di diverso genere che avrebbero potuto determinarne la morte. Inizialmente alla donna – che venne anche arrestata – era stato contestato il reato di abbandono di minore che poi era stato però riqualificato in tentato omicidio. A gennaio del 2024, infatti, il tribunale del Riesame, accogliendo l’appello dei pubblici ministeri Maria Paola Asara e Paolo Piras contro l’ordinanza del gip, aveva spiegato nelle motivazioni che «la volontà dell’indagata non era semplicemente quella di abbandonare il figlio, cosa che avrebbe potuto fare in vari modi salvaguardando la vita del piccolo, bensì quella di esporlo volontariamente a plurime e combinate fonti di pericolo per la vita, dalle quali non poteva che conseguire l’esito letale».  Anche per il collegio presieduto dal giudice Antonello Spanu quella madre, in sintesi, «aveva agito deliberatamente per determinare le condizioni dalle quali sarebbe derivata la morte del bambino, che sarebbe sopraggiunta con ragionevole certezza senza l’intervento salvifico della nonna». E le ragioni a supporto di questa convinzione erano state esposte nell’ordinanza. Lo stesso tribunale aveva però ritenuto insussistente il “pericolo di recidiva” e aveva quindi detto no alla custodia in carcere, accogliendo le richieste degli avvocati Elisa Caggiari e Pietro Fresu. Anche perché a un certo punto la donna, incensurata, aveva «mutato atteggiamento ammettendo le sue responsabilità agli inquirenti». La 30enne aveva dato alla luce il figlio al termine di una gravidanza che aveva nascosto a tutti. L’aveva negata persino a se stessa. Forse arrivata nel momento sbagliato, forse frutto di un rapporto occasionale, in ogni caso una gravidanza “indesiderata”, come si usa definirla tradizionalmente. E freddamente. Una donna che non voleva diventare madre ma che, allo stesso tempo, non voleva uccidere il suo bambino. Come ha sostenuto anche l’avvocato difensore Pietro Fresu la scorsa udienza. Perché se avesse realmente avuto l’intenzione di sbarazzarsi del neonato lo avrebbe nascosto molto più lontano e soprattutto in un punto dove nessuno, almeno non in tempi brevi, avrebbe potuto trovarlo. «Ricordo il mio senso di smarrimento, di paura – ha detto la donna al giudice la scorsa udienza – il turbine di emozioni che ho attraversato durante i nove mesi. Dallo sconforto iniziale per una gravidanza inaspettata, non voluta, all’accettazione della stessa, al portarla avanti per poi far avere una vita serena e piena d’amore alla creatura che portavo in grembo. Mi sono informata sul parto in anonimato, in ospedale. Il bambino sarebbe nato in sicurezza e sarebbe stato poi affidato a una famiglia che gli avrebbe dato tutto l’amore che io, in quel momento della mia vita, non sarei stata in grado di dargli. «Quella notte mi sono ritrovata davanti a una situazione più grande di me. Senza preavviso di niente, senza un sintomo, nessun dolore che potesse farmi capire che a breve avrei partorito. Solo una gran voglia di spingere e far uscire la vita che avevo portato in grembo per nove mesi... Da quel momento il buio...» 

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