Anna Falchi: «La mia “s” romagnola conquistò Fellini. Luttazzi? Fui ingenua, non lo rifarei»
La conduttrice dei Fatti vostri a ottobre sarà a Sassari per Promo Autunno: «Che nostalgia la Sardegna anni ’90, altro che Maldive»
Se gli anni Novanta avessero un volto (e un corpo) avrebbero sicuramente quello di Anna Falchi. Film campioni di incasso, show dagli ascolti stellari (neanche il recordman Amadeus è riuscito a battere il Sanremo ’95), e poi il mitico calendario di Max che impazzava in (quasi) tutte le case degli italiani. Di quell’epoca Anna Falchi parla con nostalgia, ma senza rimpianti, anche perché oggi, confermata per il terzo anno al timone dei Fatti vostri, è una delle conduttrici di punta di casa Rai.
Modella, attrice, produttrice, conduttrice. Cosa c’è scritto nella sua carta di identità?
«I primi sono tutti prescritti (ride, ndr). Oggi ho scelto definitivamente: sono una conduttrice, mi sento tale. In questa veste mi sento a mio agio».
Nata in Finlandia, cresciuta sulla Riviera adriatica: quale parte predomina in lei?
«Assolutamente la romagnola che c’è in me. Io sono bella verace, allegra, socievole. Ovviamente dico solo i pregi, i difetti la prossima volta. Ma ho anche aspetti del carattere finlandese: sono una donna indipendente, dal sangue freddo».
Da bambina cosa sognava?
«Come sempre succede a quella età non avevo le idee chiare. Ma mi ha sempre appassionato l’arredamento. Mi immaginavo architetto: costruivo case con tutti i materiali, dal cartone al Lego. E sono ancora così. Quando arrivo in un albergo in cui mi devo trattenere qualche giorno adatto la stanza a me. Poverini quelli che devono sistemarla, perché la lascio pulita, ma trovano tutti i mobili spostati».
Come catturò l’attenzione di Federico Fellini?
«Fu il classico provino negli studi di Cinecittà. Non volevo neanche andarci. Anche perché io non rappresentavo il genere di Fellini. Pensavo alle grande dive, mentre io ai tempi ero molto acerba. Avevo vent’anni. Ero bella, fresca, mi presentai con un look molto easy: jeans e camicetta. Lui rimase colpito dal mio accento. “Sbaglio, o vieni dalle mie parti?”, mi chiese. Non avevo mai fatto dizione, avevo la esse sibilante. Credo che il binomio vincente sia stato proprio questo: aspetto nordico e accento romagnolo. Mentre parlavo lui disegnava bozzetti: riteneva di avermi sognato: tutte le sue cose erano ispirate dai sogni».
Dopo lo spot di Fellini arriva il cinema: Risi, e poi Vanzina.
«Ho fatto diversi cinepanettoni. Bisognerebbe riprendere a farli. Faceva parte dell’essere italiani: a Natale tutte le famiglie andavano insieme al cinema. Oggi quei film vanno ancora fortissimi quando li danno in tv. Se li rifacessero magari la gente riprenderebbe ad andare in sala».
Al cinema lavorò anche con Rupert Everett.
«Un signor attore, con un curriculum importantissimo. Più gli artisti sono grandi, più sono umili, è più facile collaborare. Loro vogliono il meglio per il film e per loro stessi e per questo ti mettono a tuo agio. Mi è capitato con molti grandi, per esempio F. Murray Abraham».
Il 1995 è l’anno di Sanremo, il festival dei record. Anche Agnelli rimase colpito da lei…
«Quel Sanremo è indimenticabile, indelebile nella memoria. Sono grata a Pippo Baudo, perché come tutti i maestri che hanno creduto in me, ha fatto sì che continuassi a perseverare in questo mondo. Avendo avuto pigmalioni come Fellini o Pippo ho vissuto di rendita per anni. Poi però mi sono rimboccata le maniche».
Copertine, calendari, tv, cinema: che epoca è stata?
«Dopo Sanremo fu un tornado. Una cosa che mi ha fatta crescere. Come tutte le cose, quando raggiungi l’apice, non può durare per sempre. E così mi sono ridimensionata, mi hanno ridimensionata: il lavoro te lo devi guadagnare, nulla è dovuto, bisogna conquistarselo. Lo devi fare con voglia di imparare, con una forte dose di umiltà, ricordandosi sempre da dove si è venuti, ovvero dal niente. Sempre orgogliosi di quello che si fa».
Il suo calendario di Max fu un successo enorme.
«Fui la prima donna italiana ad apparire in un calendario importante. Poi esplose la moda».
Lei lo aveva appeso in casa?
«No, ti pare. A casa mia non c’è neanche una mia fotografia. Già vivo della mia immagine, ti pare pure se mi devo vedere nelle foto. Mi basta la quotidianità davanti allo specchio. Non sono così autocelebrativa».
All’epoca anche tanta Sardegna.
«Quanto mi manca quella Sardegna: Porto Rafael, Porto Cervo, Porto Rotondo. Mi viene tanta malinconia. All’epoca c’erano meno costruzioni e tanta voglia di vivere. Era incontaminata, non c’erano ristoranti blasonati. Stavi lì in spiaggia a guardare le barche dei ricconi che venivano a godersi il mare più bello del mondo. Altro che Maldive, noi le Maldive le abbiamo qui».
A metà ottobre sarà a Sassari ospite di Promo Autunno.
«Mi fa sempre piacere tornare nell’isola. E questa volta ancora di più perché c’è da promuovere il made in Italy».
A un certo punto gli impegni tv sono aumentati rispetto al cinema: una scelta o un caso?
«Io avevo avuto la fortuna di fare un po’ tutto e quella è una palestra che ti forgia. A un certo punto, avendo fatto convention, feste in piazza, teatro mi sono resa conto che la cosa che era più nelle mie corde era l’improvvisazione, ma sempre unita alla preparazione».
Nel 2001 ci fu il discusso episodio di Satyricon: ha più incrociato Daniele Luttazzi?
«No. Quella era una gag fine a sé stessa, ma ancora non capivo la delicatezza dell’argomento, non ne ero consapevole. Mi sono fatta usare e quello mi è un po’ dispiaciuto. Hanno approfittato della mia ingenuità. Ora non ci cascherei più».
Terzo anno ai Fatti vostri. Come ha conquistato Michele Guardì?
«Con il grande rispetto e la stima che ho per lui, stando sempre al mio posto, senza sgomitare. In questa trasmissione sono cresciuta, la sento mia».
Un no di cui si è pentita?
«Avevo molte offerte al cinema e dissi no a un programma Mediaset, che era una specie di sliding doors. Aveva un taglio giornalistico e non mi sentivo pronta. Me ne sono pentita amaramente».
Un sì che oggi non direbbe?
«Forse la gag di Luttazzi».
Prima o poi Anna Falchi farà… qual è il suo sogno?
«Prima o poi vorrei un programma tutto mio».