Al Budavar di Sassari tra piatti ungheresi e creatività sarda
Aperto diciassette anni fa da due sassaresi, il locale è un laboratorio gastronomico, un punto d’incontro tra storie e tradizioni molto amato da chi cerca sapori forti da chi è attratto dalla cucina internazionale o da chi vuole provare qualcosa di nuovo
Si chiama Budavar e da diciassette anni porta un angolo d’Ungheria nel cuore di Sassari. Varcare la soglia del civico 32 di Via Nizza significa entrare in un piccolo mondo sospeso tra paprika, stufati e cavolo verza, dove ogni piatto è un ponte tra culture. Non servono voli né passaporti: bastano i profumi intensi della cucina, l’atmosfera calda e l’energia familiare di un locale che ha saputo costruire la propria identità sulla contaminazione. Dietro ai fornelli c’è Fabio Gallotta, 48 anni, cuoco e co-fondatore del ristorante insieme al fratello Gabriele, 28 anni.
«Abbiamo iniziato 16 anni fa, quasi per gioco — racconta Gabriele –. All’inizio cucinavamo piatti ungheresi sporadicamente in quello che era il bar di famiglia. Poi la cosa si è evoluta. Oggi siamo un vero ristorante, con una proposta solida e riconoscibile». Complice un legame familiare con l’Ungheria, la passione si è trasformata in progetto. Oggi, quel progetto è una delle realtà gastronomiche più peculiari del panorama sassarese. Il cuore della cucina è ungherese, ma lo spirito è aperto, curioso, in continuo movimento.
«Usiamo molte spezie — spiega Gabriele —, soprattutto paprika, che è l’anima della cucina magiara, ma ci teniamo a non appesantire. Lavoriamo sulle cotture, sulle consistenze, cerchiamo sempre di alleggerire e rendere i piatti accessibili anche a chi non li conosce». Il simbolo di questa filosofia è il gulyas, uno dei piatti forti del Budavar, reinterpretato in chiave moderna.
«Lo proponiamo come uno stufato più che un brasato — racconta —, e lo accompagniamo con pane raffermo, che valorizza il sapore e aggiunge croccantezza». Accanto al gulyas, ci sono piatti meno noti ma profondamente legati alla tradizione. Il brassói, brasato di maiale con cubetti di patate fresche, e lo székely káposzta, spezzatino di maiale con i crauti, evocano sapori robusti e sinceri. Immancabile anche il rakott kel, un tortino gratinato di cavolo verza, intervallato da riso, carne macinata e panna acida: un comfort food perfetto per riscaldare l’inverno, ma richiesto anche d’estate. Nel corso degli anni, la proposta del Budavar si è evoluta.
«All’inizio il nostro pubblico era composto perlopiù da adulti — spiega Gabriele —, perché si tratta di una cucina speziata, strutturata. Ma con il tempo ci siamo avvicinati anche ai giovani, grazie al delivery e a un menù che è rimasto fedele a se stesso ma si è fatto più accessibile». Oggi il ristorante è amato da una clientela variegata: c’è chi cerca sapori forti, chi è attratto dalla cucina internazionale, chi semplicemente vuole provare qualcosa di nuovo. «I sassaresi ci hanno accolto con curiosità e rispetto. Hanno apprezzato fin da subito la nostra proposta e noi abbiamo sempre cercato di essere coerenti, senza forzare le cose». La sperimentazione è parte integrante del lavoro in cucina. «Non essendo ungheresi, ci sentiamo liberi di reinterpretare. Cerchiamo sempre di evolverci senza perdere la cultura originaria, ed è questa la chiave: rimanere fedeli allo spirito, non alla lettera».
Anche i dolci riflettono questa filosofia. Il Zserbo, dolce alle noci tipico del periodo invernale, viene proposto in una versione più leggera ma rispettosa delle origini. E poi c’è il Túrógombóc, una palla di ricotta morbida servita calda: un classico rivisitato che chiude il pasto con delicatezza e originalità. «Ci piace sperimentare anche nel finale del pasto, mantenendo un legame con la cucina dell’Est ma adattandola al nostro stile». A diciassette anni dall’apertura, il Budavar non è solo un ristorante: è un laboratorio gastronomico, un punto d’incontro tra storie, tradizioni e sapori.