La Nuova Sardegna

L’intervista

I Tiromancino approdano a Tharros: «Fortunata la nostra generazione ad essere cresciuta con Dalla e Califano»

di Paolo Ardovino
I Tiromancino approdano a Tharros: «Fortunata la nostra generazione ad essere cresciuta con Dalla e Califano»

Federico Zampaglione e compagni in Sardegna per il tour che celebra “La descrizione di un attimo”

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Certe ricorrenze suggeriscono che il tempo è passato, ed è passato bene. Per festeggiare i 25 anni dalla pubblicazione di “La descrizione di un attimo”, i Tiromancino sono in tour. «Con una scaletta che parte da quell’album e ripercorre altri grandi successi, leggendo i brani che facciamo mi viene da pensare: quanta vita abbiamo vissuto», dice Federico Zampaglione, frontman del gruppo che sabato 12 luglio approda a Tharros all’interno della rassegna I Giganti dell’arte, organizzata dalla Fondazione Mont’e Prama.

Ascoltandolo tanti anni dopo, e riportandolo sul palco, il disco com’è cambiato?

«In realtà è rimasto quello, quando lo riascolto non cambierei nulla. Rimane una fotografia precisa e fantasiosa di quel periodo storico. Ancora oggi quando risento quei brani alla radio, li sento attuali. Non erano alla moda, non seguivano una corrente che poi è passata. Era uno stile inventato: tra la canzone e una serie di sperimentazioni».

Il pubblico di oggi è diverso: ci sono gli affezionati e le nuove generazioni.

«Sì, la base è di chi ci segue con passione da tempo, poi però mi fa piacere ci sia una fascia giovane di chi ci ha ascoltato dai genitori o anche dai vari talent. Lì mi capita spesso di sentire nostre cover».

E le piacciono?

«Alcune di più, altre meno, però ho notato che passano spesso e ricevo tag sui social. Ma io alla fine mi considero un collezionista di canzoni, del resto me ne frega ben poco. Non mi importa apparire, sono più concentrato sul contenuto».

A cosa pensa quando scrive le canzoni?

«Allora, la peggior cosa che può succedere a una canzone è essere dimenticata, morire lì, invece quando è bella dovrebbe morire semmai chi l’ha scritta, non la canzone. Sono cresciuto in una generazione in cui i grandi maestri erano un esempio da seguire. Erano in giro già da vent’anni e avevano un peso culturale. Mi sento fortunato a essere cresciuto con Dalla, con Califano, solo vederli lavorare ti ispirava. E questo delle canzoni fatte per rimanere è un concetto che si sta perdendo, adesso funziona la cosa scoppiettante che crea baccano, e se non resta pazienza...».

È sbagliato l’approccio?

«Le canzoni devono piacere a me. Il pubblico ti premia, ma quando registri non te ne deve importare, perché rovina l’approccio creativo. Al pubblico devi riuscire semmai a dare il meglio che hai».

Oggi è difficile uscire dalla logica del soddisfare l’aspettativa dell’ascoltatore.

«Il collezionista vuole soddisfare per primo se stesso, non vuole pezzi che gli rovinano la collezione, no? Dovrebbe essere così. Tu puoi fare successo ma poi arriva qualcuno che ti dice “puoi fare di più”, e ancora e ancora. Non ne esci».

E “Mi rituffo nella notte”, il vostro ultimo singolo, di cui lei è anche regista, che brano è?

«Parla di quei momenti che succedono nella vita di tutti, quando una relazione finisce e passi dalla gestione del tempo al ritrovarti a casa e dire “e adesso?”. La prima reazione è prendere l’agendina del telefono. Dalla persona che di notte non si vedeva mai, diventi quello che sta in giro sei notti su sette. E in quella che manca sei a una festa in casa (ride, ndr). È una storia di solitudine, l’ho voluta rivestire di ironia. La canzone è nata da una discussione con mia moglie, mi ha chiesto “Che fai senza di me?” e io “Probabilmente mi rituffo nella notte”». 

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