Acqua San Martino, Serafino unico lavoratore dello stabilimento chiuso da aprile: «Lo tengo in ordine, pronto per la riapertura»
Nell’impianto di Codrongianos dal 2003: «Quando arrivai per amore in Sardegna da Napoli, nel 1992, e passai per la prima volta davanti alle fonti, pensai che mi sarebbe piaciuto lavorarci»»
Sassari Ogni mattina va nell’impianto di Codrongianos dove ha lavorato per oltre vent’anni. Lo apre, lo ripulisce, si occupa delle piccole manutenzioni, lo custodisce. Gira tra i corridoi e gli stanzoni che lo accolgono spettrali, vuoti dal 4 aprile, quando il Tribunale di Sassari ha respinto la proposta di concordato preventivo ravvisando gravi criticità e ha avviato le procedure per la liquidazione giudiziale della società San Martino, sospendendone l’attività.
Da allora Serafino Porcaro, 62 anni, napoletano di nascita e sardo per amore, è entrato – insieme a ventuno colleghi – in un limbo. «La produzione era sospesa – racconta – e noi eravamo senza stipendio. Ma non formalmente licenziati, quindi senza possibilità di accedere alla cassa integrazione. Sono stati mesi infernali, di silenzi, paure, difficoltà enormi per ventidue famiglie finite di colpo in ginocchio. Io mi ritrovavo a girare per Ossi, il paese dove vivo con mia moglie e i miei due figli, senza sapere cosa fare».
Pian piano i primi spiragli di luce: ad agosto è arrivato il tanto atteso licenziamento, che ha permesso di accedere alla Naspi, e la promessa di essere coinvolti in un “progetto ponte” gestito da Aspal e Regione, tramite la multiservizi controllata dalla Provincia, in attesa che la gestione dello stabilimento venga messa a bando, una volta rientrato formalmente in possesso della Città Metropolitana, proprietaria di fonti e impianti, e che i lavoratori vengano riassorbiti dai nuovi gestori. Nel frattempo, tutto è nelle mani del curatore fallimentare nominato dal tribunale, che ha assunto un custode: l’ultimo “giapponese” rimasto dentro l’impianto.
«Hanno scelto me – racconta Serafino – perché conosco ogni bullone di questo posto. E perché ho 62 anni, mi manca poco alla pensione. Sono tra i “sospesi”, quelli che non potranno più ricollocarsi. E l’unica speranza che mi resta è tornare dentro questo stabilimento, dove ho passato buona parte della mia vita».
Porcaro ci lavora dal 2003, ma il legame con la San Martino è più antico. «Quando mi trasferii in Sardegna nel 1992, per amore di quella che sarebbe diventata mia moglie – ricorda – passai davanti alle fonti e pensai che mi sarebbe piaciuto lavorarci. Lei oggi mi prende in giro e dice che alla fine sono rimasto l’unico qui dentro». Il sogno si è avverato dieci anni dopo. Serafino, tecnico elettromeccanico, viene assunto e cresce subito di grado. «Uno stabilimento come questo è vivo, complesso, va conosciuto e coccolato. Non è una fabbrica del Nord dove basta schiacciare un bottone. Ha sempre avuto mille problemi, ma il prodotto finale era eccezionale. Tanti turisti quest’estate sono venuti qui a chiedere perché la loro acqua preferita non fosse più nei supermercati. Non sapevo cosa rispondere. Sono stati fatti tanti errori, e a pagarli non sono solo i lavoratori ma l’intero territorio. Ma il marchio resta solido, e la gente aspetta solo che torni sugli scaffali».
Anche Serafino aspetta: il nuovo bando promesso entro l’anno, l’ingresso in Multiss che dovrebbe scattare a settimane. Nel frattempo ricovera le pedane al riparo dalla pioggia. «Non voglio che si rovini nulla – dice – anche se per chi arriverà ci sarà tanto da fare. C’è chi sta perdendo le speranze. Ma io controllo le sorgenti, che sono ancora “vive”. Tengo in ordine gli stabili, che spero vengano presto sistemati. Voglio che tutto sia pronto. Perché qualcuno arriverà, ne sono sicuro».
