La Nuova Sardegna

Sassari

L’intervista

L’esperto: «Genitori, non date lo smartphone ai vostri figli» – VIDEO

di Davide Pinna
L’esperto: «Genitori, non date lo smartphone ai vostri figli» – VIDEO

Alberto Pellai, medico, ospite di un seminario a Sassari parla dell’aumento di ansia e depressione fra i nativi digitali

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Sassari Chiunque abbia provato a togliere uno smartphone dalle mani di un bambino che guarda un video o gioca, conosce bene la reazione: pianti e urla, quando va bene; esplosioni di rabbia incontrollabili, se va peggio. «Ecco, se il bambino piange vuol dire che ha già sviluppato un’abitudine che non va bene. E che quindi è necessaria al più presto una inversione di rotta».

Alberto Pellai disarma ogni obiezione con un’osservazione semplice e inattaccabile. Ieri, ha incontrato centinaia di educatori, insegnanti e genitori all’ExMater di via Zanfarino. Medico, psicoterapeuta e scrittore, è uno dei massimi esperti in Italia del rapporto fra bambini e dispositivi tecnologici, smartphone e tablet su tutti: la precisazione è importante. L’incontro è stato organizzato dalla cooperativa San Camillo De Lellis, presieduta da Paolo Appeddu, che ha moderato l’incontro.

Professore, il rapporto fra bambini e smartphone oggi è sano?

«No. ci sono dati comportamentali, clinici e delle neuroscienze che lo dimostrano. Rispetto ai loro coetanei di 20 o 30 anni fa, i bambini di oggi stanno peggio, sotto tutti i profili. Sul piano comportamentale, non fanno più quelle cose necessarie per sviluppare competenze per la vita. Su quello clinico, crescono miopia, obesità, disturbi del sonno. E poi la salute emotiva: crescono ansia e depressione, aumentano le diagnosi di disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione».

Quando è cominciato questo processo?

«Nel 2012. Quello è l’anno in cui lo smartphone ha sostituito il cellulare, e in cui i giovani hanno iniziato a lasciare Facebook per Instagram. E i dati sono chiarissimi: nel 2012, dopo trent’anni di stabilità, i dati globali sulla salute dei giovani hanno cominciato a scendere. E negli ultimi 12 anni è andata sempre peggio. Anche la pandemia ha avuto un ruolo, ma ha fatto deflagrare un problema già esistente. Gravissime conseguenze le ha avute fra i bambini più piccoli. Fino ad allora, erano protetti dagli smartphone. Poi li hanno conosciuti attraverso la scuola e a quel punto la barriera è venuta giù».

Cosa può fare lo stato?

«C’è il modello australiano. Hanno vietato l’accesso ai social media prima dei 14 anni. E ribaltato la responsabilità di far rispettare questa regola, che non sarà dei genitori ma delle piattaforme. Un po’ come accade quando un minorenne compra alcol, la responsabilità è di chi gliel’ha venduto».

Ma quindi sogna un mondo senza tecnologia?

«Assolutamente no. Ma bisogna distinguere, gli smartphone da altri dispositivi. Sono strumenti complessi, neanche gli adulti sono in grado di usarli eppure li si dà in mano ai bambini, sarebbe come dargli una mountain bike invece di un triciclo: non è mai successo nella storia umana».

Che consigli può dare ai genitori sassaresi?

«Sono quelli che emergono dalla ricerca scientifica. Niente smartphone prima dei 14 anni, nessun profilo social fino a 16 anni e frequentare scuole dove lo smartphone non è ammesso all’interno delle aule: lo si custodisce dentro uno spazio protetto e lo si riprende quando si va via. La quarta richiesta è far tornare i bambini a giocare: nei cortili, nei parchi, a contatto con la natura. Non si possono più vedere bambini al mare, seduti sulla sdraio al telefonino».

Bello, ma il bambino senza telefono verrà sicuramente emarginato dai suoi coetanei...

«Ecco perché stanno cominciando a nascere in diversi posti d’Italia i “Patti digitali di comunità”. Sono accordi con cui i genitori e gli adulti di una comunità stabiliscono delle età minime per l’accesso allo smartphone e non solo. Magari non sono tutti i genitori di una scuola, ma sono una parte significativa. E così, il bambino non sarà solo».

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