Un papa italiano dopo Francesco: ecco i motivi che rendono concreta l’ipotesi
Con ben 17 cardinali l’Italia è la nazione più rappresentata nel Collegio cardinalizio
Sassari A meno di ventiquattr’ore dal solenne funerale di Papa Francesco, celebrato ieri mattina in una piazza San Pietro gremita di fedeli e alla presenza di leader religiosi e civili da tutto il mondo, la Città Eterna appare ancora raccolta nel cordoglio. Tuttavia la millenaria macchina della Chiesa cattolica si è già rimessa in moto in vista del Conclave, che si preannuncia carico di attese, incognite e qualche tensione. Da lunedì prossimo riprenderanno gli incontri quotidiani nell’Aula del Sinodo, mentre il calendario dei Novendiali – le nove messe in suffragio del Pontefice defunto – proseguirà fino a domenica 4 maggio. Poi sarà possibile fissare l’inizio dell’assemblea chiusa (il Conclave, appunto) durante la quale i 135 cardinali elettori saranno chiamati a scegliere il 267° successore di Pietro. Le date più probabili sono lunedì 5 o martedì 6 maggio.
La sfida Se la tradizione vuole che il nuovo Papa emerga dall’interno del Collegio cardinalizio – sebbene la legge canonica ammetta la possibilità di eleggere qualsiasi battezzato di sesso maschile e celibe –, gli osservatori più attenti guardano a chi potrebbe incarnare al meglio il profilo richiesto in questo momento storico. Lo ha spiegato bene il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco-Frisinga, sottolineando come la sfida non sia tra conservatori e progressisti, ma tra chi saprà coniugare credibilità, comunicazione e capacità di dialogo con un mondo in rapida trasformazione. «Serve una persona che sappia parlare alla gente, che abbia una visione globale e che riesca a trasmettere con forza l’importanza del Vangelo», ha precisato Marx ricordando il carisma di Papa Francesco e auspicando che il successore prosegua nel solco della credibilità e della riforma.
I papabili italiani Con ben 17 cardinali elettori italiani (più due di nascita, ma in servizio in altre diocesi del mondo) l’Italia si conferma la nazione più rappresentata nel Collegio cardinalizio. Se è vero che le previsioni alla vigilia di un Conclave lasciano spesso il tempo che trovano, il nome di Pietro Parolin, veneto di Schiavon e fino a pochi giorni fa segretario di Stato vaticano, resta uno dei più autorevoli e quindi favoriti. La sua lunga esperienza diplomatica, la conoscenza profonda della Curia romana e i rapporti con i leader internazionali lo rendono un possibile nome di convergenza e di sintesi. Altro candidato accreditato è il cardinale Matteo Maria Zuppi, romano di nascita ma arcivescovo di Bologna. Considerato un “bergogliano di ferro”, molto vicino alla Comunità di Sant’Egidio e noto per il suo impegno sociale e per il dialogo interreligioso, Zuppi rappresenterebbe una prosecuzione ideale dello stile pastorale di Papa Francesco, ma con una sensibilità personale capace di parlare ai giovani e ai più fragili. Tra gli altri nomi italiani che circolano in queste ore figurano il cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, e ancora l’arcivescovo di Torino, Roberto Repole. Meno quotati ma possibili outsider sono Mauro Gambetti, arciprete di San Pietro, e Paolo Lojudice, vescovo di Siena. Tra gli outsider si fanno i nomi di Daniel Di Nardo, cardinale statunitense di origini abruzzesi, e di Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme. Entrambi con esperienze pastorali in contesti complessi, capaci di incarnare il profilo di un Papa dialogante e attento alle periferie del mondo, nel solco tracciato da Francesco.
L’ala straniera E se anche il prossimo Papa non fosse italiano? La domanda serpeggia tra le stanze vaticane e le cronache internazionali. Ufficialmente, tutto tace. A chi gli chiedeva se il suo nome fosse tra i possibili candidati, il cardinale Fernando Chomalí Garib, arcivescovo di Santiago del Cile, ha risposto laconicamente con un sorriso: «È impossibile». Sarà, ma la storia insegna che il Conclave è il luogo dell’imprevedibile: nessuno nel 1978 immaginava l’elezione del polacco Karol Wojtyła e anche nel 2013 in pochi avrebbero scommesso sull’argentino Jorge Mario Bergoglio. Anche per questo motivo salgono le quotazioni del cardinale filippino Luis Antonio Tagle, dell’arcivescovo di Marsiglia Jean-Marc Aveline, così come nella lista dei papabili stranieri rientrano l’arcivescovo di Budapesta Peter Erdo (vicino a Victor Orban), e ancora il vescovo di Stoccolma Anders Arborelius e l’arcivescovo di Kinshasa Fridolin Ambongo Besungu, presidente del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar e unico africano nel Consiglio dei cardinali. Insomma, per ora l’unica certezza è che la fumata bianca resta avvolta nel mistero.