Misterioso naufragio all’Asinara, la sorella di Davide Calvia accusa: «Chi sa e tace è colpevole»
Nadia Calvia parla dopo il ritrovamento dei due caschi da motociclista nella barca ripescata a ottobre 2024 in cui trovò la morte il fratello
Sassari «Continuo a dire ciò che sostengo ormai da più di due anni, da quando le perizie hanno chiarito che mio fratello Davide non è morto annegato: chi sa e non parla è colpevole quanto e più di chi quella morte ha provocato».
Così Nadia Calvia, sorella di Davide il 35enne sassarese che ha perso la vita nel misterioso naufragio nel golfo dell’Asinara nell’aprile 2023 e al quale è sopravvissuto il cugino Giovannino Pinna, indagato per omicidio colposo. «Dopo avere letto l’ennesima novità, quella dei due caschi da motociclista trovati nella cabina della barca ripescata a fine ottobre dello scorso anno dalle reti di un motopesca – prosegue Nadia Calvia – le mie convinzioni si rafforzano. E per questo auspico che quanto prima si possa arrivare alla chiusura delle indagini e quindi al processo. É quella l’unica strada per cercare la verità e avere giustizia. Un diritto per tutti».
La presenza dei due caschi rinvenuti nella barca che era sparita dalla banchina del porto di Porto Torres (il proprietario ne aveva denunciato il furto) e che verosimilmente è stata utilizzata dai due cugini, sembra confermare la linea investigativa seguita finora. Anche se manca un aspetto fondamentale: cosa è successo a bordo e come è morto Davide Calvia?
«Davide e Giovannino Pinna escono di casa l'11 Aprile 2023, nel pomeriggio per andare a pescare, con una barca non loro, e solo loro sapevano – racconta Nadia Calvia – . Davide quella sera messaggia con un’amica, le racconta alcuni dettagli della giornata. Quella notte avrebbe dovuto fare rientro a casa, ma per un motivo finora sconosciuto cambia idea e decide di restare a mare. Il giorno dopo, al mattino, Giovannino Pinna manda un messaggio a mia madre dicendole che sono a mare, poi, intorno alle 16 il misterioso naufragio. Viene lanciata una richiesta di soccorso da Giovannino Pinna in cui si diceva che la barca stava affondando con l’aggiunta che avrebbero messo mute e salvagenti per attendere i soccorsi in sicurezza. Dopo soli 5 minuti sul posto indicato - nella chiamata ha detto che vedeva le ciminiere di Fiume Santo - arrivano i soccorsi e in più si alza in volo l’elicottero dei vigili del fuoco. C’era piena visibilità, vento di libeccio. Nessuna traccia. Eppure se fosse stato un naufragio, come quello recente dei due fratelli di Olbia, qualcosa sarebbe riemersa. La telefonata poi aggancia la cella di Marritza».
E quella è la zona dove è stata ripescata la barca affondata. Nadia Calvia ricorda che dopo 27 ore di ricerche dal presunto naufragio, Giovannino Pinna viene ritrovato sulla battigia al nono pettine. «Dopo 10 giorni mio fratello Davide viene trovato privo di vita alla Rasciada di Castelsardo, in linea d’aria con il punto dove il cugino si è “miracolosamente” salvato e un anno e mezzo dopo riemerge la barca a tre miglia dalla costa dove era stato trovato Giovannino Pinna. Ora si sa che dentro c’erano anche i loro caschi utilizzati per la moto. Siamo a oggi, quindi. C’è un fortissimo bisogno di verità e di giustizia: vorrei che mio fratello potesse riposare finalmente in pace. Almeno questo gli è dovuto. E serve che chi sa dica cosa è successo quel giorno di due anni fa. Perché Davide è morto ma non è annegato, continuerò a urlarlo fino a quando questa brutta storia non avrà la parola fine».